DIRITTO ALLO STUDIO

Università e fuori sede: i posti letto negli studentati aumentano del 10%

L’ultimo rapporto Anvur fotografa la situazione, critica, degli alloggi universitari disponibili nelle residenze e negli studentati. Sebbene qualche passo in avanti negli ultimi anni è stato fatto, si è ancora lontani dal coprire buona parte del fabbisogno

25 Set 2023 - 13:32
 © IPA

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Ripartono in tutta Italia le tendopoli degli universitari, per protestare contro la cronica mancanza di posti letto a buon mercato per gli studenti fuori sede. E hanno ragione: in Italia, a fronte di oltre 450mila iscritti che studiano lontano da casa, ci sarebbero meno di 42mila posti (41.911) negli studentati riconducibili al sistema del diritto allo studio pubblico, a cui si possono aggiungere i 7.340 posti resi disponibili da enti privati o da collegi di merito, che fanno arrivare il totale solo a sfiorare i 50mila posti (49.251). Numeri comunque insufficienti anche per soddisfare una minima parte del fabbisogno. Questo il quadro della situazione aggiornato secondo il report pubblicato dall’ANVUR (l’Agenzia di valutazione del sistema universitario).

Fuori sede travolti dalle spese, tra affitti e bollette 

A fronte di questa sproporzione, perciò, agli studenti non resta che rivolgersi al mercato delle case private in affitto: in un contesto di impennata del costo generale delle locazioni, soprattutto nelle città con forte vocazione turistica, non sorprende che la situazione sia diventata davvero insostenibile. Secondo una recente analisi condotta da Cgil, Udu (Unione degli Studenti) e Sunia (sindacato che rappresenta gli inquilini), quasi 1 “fuori sede” su 3 ha detto di essere in grave difficoltà nel pagamento dell’affitto e delle utenze.

I posti aumentano, l'emergenza rimane

Qualche passo in avanti, va detto, è stato fatto. Come sottolinea il portale Skuola.net, che ha evidenziato i tratti salienti dell'indagine Anvur, nell’a.a. 2022/23 i posti disponibili totali sono stati complessivamente 44.733. Si è assistito, dunque, a un aumento di circa il 10%. Ma il tasso di crescita è ancora troppo lento rispetto agli obiettivi ambiziosi del PNRR, che entro il 2026 vorrebbe portare i posti letto a toccare quota 100mila. Ma la terza rata del Piano ha avuto delle difficoltà nella sua fase di rendicontazione e successiva erogazione fondi proprio su questo aspetto. Non proprio la partenza migliore. 

Ma anche se avessimo già raggiunto questo obiettivo, lo scenario sarebbe comunque fortemente negativo. Nell’anno accademico 2021/2022 (l’ultimo preso a riferimento da ANVUR) gli studenti “fuori sede” totali furono oltre 446mila. Se proprio volessimo restringere il campo a quelli che avrebbero la priorità nell’assegnazione dei posti - ovvero chi è in corso o al massimo un anno fuori corso - si scende a 386mila. Ma il risultato non cambia. E visto che il saldo tra uscite (tra laureati, abbandoni e ritorni nella regione di residenza) e nuovi ingressi (immatricolati o neo-trasferiti) varia di poco di anno in anno, si può affermare senza grossi margini di errore che, per l’anno accademico in partenza, solamente 1 richiedente su 9 potrà accedere a uno studentato. Peraltro, è abbastanza facile finire fuori corso se si deve pagare un affitto elevato e ci si deve mantenere lavorando. Precludendo alla base le chance di mettere le mani su un “letto” pubblico.

La situazione, inoltre, potrebbe assumere caratteri ancora più foschi se prendessimo in considerazione, nella platea dei fuori sede, non solo gli studenti residenti fuori regione rispetto all’ateneo in cui sono iscritti (come fa ANVUR) ma anche quelli fuori provincia: in questo caso il numero salirebbe, secondo il dato riportato dall’ultimo rapporto del CNSU (Consiglio Superiore degli Studenti Universitari), sarebbero oltre 750mila (764.146 per la precisione). E se in alcuni casi il pendolarismo è sicuramente una strada praticabile rispetto al trasferimento, in altri contesti potrebbe risultare una soluzione alquanto lesiva del diritto allo studio.

In alcune regioni la situazione è tragica

E poi c’è sempre l’annoso problema delle differenze territoriali. Ci sono, infatti, regioni che almeno provano a fare qualche sforzo in più. Altre che restano ferme al palo. In Abruzzo, ad esempio, ogni “letto” è conteso tra 90 studenti fuori sede. Situazione complessa anche in Basilicata e Molise, dove ci si aggira attorno a un posto ogni 20 studenti: rispettivamente 21,9 e 20,6.

Anche se la vera partita si gioca soprattutto nelle regioni più grandi, in cui si concentra quasi la metà di tutti i fuorisede: Lombardia, Lazio ed Emilia Romagna. Solo la prima riesce a rimanere sotto la media nazionale, attestandosi a 7,5 studenti per posto; mentre le altre sono abbondantemente al di sopra: il Lazio con un rapporto di 13,1 studenti per posto letto,  l’Emilia con un rapporto di 18,1 a 1.

Dinamiche opposte, invece, si registrano in Calabria, dove il numero di posti disponibili (2.727) è addirittura superiore al numero di studenti fuori sede (includendo tutti sono 2.615) e in Sardegna, che ha un rapporto di 1,1. Buoni i dati provenienti dalla Puglia (2,3) e dalla
Sicilia (2,5). Ovviamente, poi, bisogna vedere di che tipo di soluzioni si tratta. Ma è comunque un dato di fatto che la pressione sugli studenti provenienti da altre parti d’Italia, in queste aree, è inferiore.

“Negli ultimi vent’anni sono state investite tante risorse per moltiplicare gli atenei e i corsi di laurea “sotto casa”, eppure questo non ha frenato la necessità degli studenti di allontanarsi dal proprio luogo di residenza per poter completare gli studi universitari. Perché, anche se il titolo di studio ha lo stesso valore legale ovunque lo si consegua, non si può dire altrettanto della sua efficacia o spendibilità sul mercato del lavoro. E le famiglie lo sanno: per questo continuiamo ad assistere alla “migrazione” degli studenti, senza però che ci siano le strutture adeguate per garantire un posto letto a un prezzo equo per ognuno. Infatti, nel frattempo il numero di posti negli studentati non è aumentato in maniera tale da coprire il fabbisogno in maniera significativa. Per metterci una pezza servirebbero molti più investimenti e parecchi anni di lavoro: nel frattempo gli studenti fuori sede continuano a essere spennati”, così commenta i dati Daniele Grassucci, direttore di Skuola.net.

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