Hanno un titolo di secondo livello. Sono medici o professionisti della salute, ma anche laureati in farmacia, ingegneria o informatica. Prevalentemente di sesso maschile, occupati nel Nord Italia. Chi lavora all’estero, poi, moltiplica l’assegno mensile
© istockphoto
Iniziamo da un dato di fatto: la laurea è ancora una buona fiche da giocare nel mondo del lavoro. Nel 2022, ad esempio, il tasso di occupazione a un anno dal titolo accademico è stato del 75,4% tra i laureati di primo livello e del 77,1% tra i laureati di secondo livello. Numeri che, dopo cinque anni, raggiungono rispettivamente il 92,1% e l’88,7%.
A dirlo è l'ultimo rapporto AlmaLaurea sulla condizione occupazionale dei laureati. Ma, oltre ai numeri, sono gli stessi studenti a sostenere che il “pezzo di carta” sia ancora più che spendibile per iniziare una buona carriera, nonostante un mercato del lavoro che sembra incitare a entrarvi il prima possibile: la maggioranza di essi, infatti, è convinta che la laurea sia stata determinante per trovare un’occupazione. Anche se, va detto, questa percentuale è in calo rispetto agli anni precedenti.
Il settore disciplinare è una variabile importante
Inoltre, non bisogna generalizzare. L’efficacia della laurea non è sempre trasversale ma varia a seconda dell’area disciplinare in cui si consegue. Ormai è risaputo che alcune branche del sapere risultano maggiormente appetibili dal mondo del lavoro. Per esempio, a parità di altre condizioni - ci dice AlmaLaurea - i più favoriti sono i laureati del gruppo informatica e tecnologie ICT, di ingegneria industriale e dell’informazione, del gruppo medico-sanitario e farmaceutico e di architettura e ingegneria civile. A seguire, troviamo quelli dei gruppi scientifico, agrario-forestale e veterinario, economico, nonché dell’educazione e formazione. Chi si laurea oggi nei gruppi disciplinari psicologico, arte e design, letterario-umanistico e giuridico sembra avere invece un minore vantaggio. O almeno, così risulta dall'analisi del rapporto effettuata dal sito Skuola.net.
A un livello accademico maggiore corrisponde uno stipendio migliore
Il diverso appeal della tipologia di laurea ottenuta si traduce, quasi inevitabilmente, anche in un differente trattamento economico attribuito alle varie lauree. Nello stipendio che un lavoratore fresco di università è “destinato” a percepire. Con diversi fattori che contribuiscono a incrementare la quota mensile. Il primo, il più evidente, è il “livello” del titolo ottenuto. Sempre a parità di condizioni, il conseguimento di una laurea di secondo livello (rispetto a una di primo livello) porta in dote, in media, un premio retributivo stimato attorno ai 99 euro mensili netti. Non uno scarto enorme ma che, a fine anno, può dare un margine piuttosto consistente.
Medicina, Farmacia, Informata, Ingegneria: ecco le lauree “trampolino”
Quello che, però, incide decisamente di più sull’ammontare dello stipendio di un laureato è, ancora una volta, la scelta fatta all’inizio del percorso universitario. Ad esempio, rispetto ai laureati del gruppo politico-sociale e comunicazione - che il rapporto prende a riferimento per misurare il confronto con le altre classi - percepiscono, in media, retribuzioni significativamente superiori i laureati dei gruppi medico-sanitario e farmaceutico (+272 euro mensili netti), informatica e tecnologie ICT (+207 euro), ingegneria industriale e dell'informazione (+204 euro), economico (+109 euro), nonché scientifico (+71 euro), dell’educazione e formazione (+62 euro) e delle scienze motorie e sportive (+46 euro). Più svantaggiati sono, invece, i laureati del gruppo giuridico (-102 euro mensili netti) ma anche quelli di architettura e ingegneria civile (-43 euro mensili netti), psicologico (-40 euro) e del settore arte e design (-32 euro).
Uomini retribuiti più delle donne. Tra Nord e Sud, meglio l’estero
Purtroppo sul “bilancio” dei laureati, ormai professionisti, continuano a influire elementi che poco hanno a che fare con gli studi. Gli uomini percepiscono in media, a un anno dalla laurea, 70 euro netti in più al mese rispetto alle pari grado donne. E, rispetto a chi lavora nel Sud Italia, chi lavora al Nord ottiene in media 101 euro mensili netti in più. Mentre chi risulta impiegato all’estero è facile che prenda il largo: gli “expat” riescono a ottenere oltre 600 euro netti mensili in più rispetto a chi lavora nel Mezzogiorno del nostro Paese; ovviamente, con oscillazioni a seconda della meta scelta e del costo della vita.
Il pubblico impiego “paga” meglio
Facile comprendere perché, poi, gli occupati che lavorano a tempo pieno percepiscono, in media, 272 euro mensili netti in più rispetto a quanti lavorano part-time. E che i contratti a tempo indeterminato o determinato, portano a maggiori retribuzioni (rispettivamente, +447, +302 e +255 euro) rispetto ad altre forme di lavoro, come i contratti formativi, le borse e gli assegni di studio e di ricerca o le attività non regolamentate da alcun contratto. Forse però in pochi sanno che, rispetto al settore privato, al pubblico impiego corrisponde un vantaggio retributivo stimato pari a 143 euro.
L'area "salute" è quella che dà le maggiori soddisfazioni
Anche il comparto in cui si viene impiegati, infine, può far oscillare l’ago della bilancia del compenso mensile dei lavoratori. Prendendo come punto di riferimento il ramo dei servizi sociali, personali, ricreativi e culturali, a spiccare sono il campo della sanità (+271 euro) e quello creditizio (+235 euro); vantaggio sensibile anche per i rami di attività economica dell’informatica (+119 euro), dell’industria metalmeccanica e meccanica di precisione (+116 euro), chimica ed energia (+107 euro).