Circa il 64% dei laureati di secondo livello lavora durante l'università, principalmente in modo intermittente o part-time. Le facoltà di Scienze motorie e sportive o di Educazione e Formazione registrano l'occupazione studentesca più alta, con oltre l'80% degli iscritti che lavora durante gli studi
Colloquio-di-lavoro © Tgcom24
Lavorare durante gli studi universitari, anche saltuariamente, dà migliori prospettive occupazionali dopo la laurea. Gli studenti-lavoratori, ovvero coloro che associano esperienze lavorative a quelle accademiche dando però la priorità a queste ultime, hanno il 32,9% di probabilità in più di essere occupati rispetto a chi non ha mai alzato la penna dai libri.
Ancora meglio va a chi inverte i rapporti di forza, ai lavoratori-studenti, ossia quelli che mettono al primo posto il “fare cassa”: qui le probabilità di essere occupati dopo dodici mesi dal titolo sono maggiori del 35,1% rispetto al resto dei laureati.tranqui, lo mettiamo in intra
Tra veri lavori e "lavoretti", la maggior parte degli universitari si dà da fare
A rivelarlo è l’ultimo rapporto AlmaLaurea, che indaga proprio su quanto hanno raccolto in termini di collocamento sul mercato del lavoro i laureati classe 2022 a un anno dal titolo. Segnalando peraltro una crescente diffusione del doppio impegno. Un’analisi effettuata dal portale Skuola.net si è soffermata sui laureati dei soli corsi di secondo livello (biennali e a ciclo unico), quelli cioè più proiettati verso il mondo del lavoro, mostrando come ben il 64% del totale - circa 2 su 3 - aveva svolto una qualche forma di attività remunerata durante gli anni dell’università. Quasi tutti (il 49,8% della generalità dei laureati), come prevedibile, a intermittenza oppure a tempo parziale: il 30,3% svolgendo lavori occasionali o stagionali, il 19,5% in modalità part-time. Ma c’è anche una quota non trascurabile (14,3%) di lavoratori a tempo pieno.
Scienze Motorie ed Educazione e Formazione spingono di più verso il lavoro
Come però spesso accade in ambito accademico, ci sono percorsi che predispongono meglio di altri ad affinare i vari aspetti del proprio percorso di formazione. Nel caso della compatibilità tra studi e lavoro sono soprattutto due le aree didattiche che sembrano invogliare (o permettere) di più di seguire le due cose parallelamente: quella delle Scienze motorie e sportive e quella dell’Educazione e Formazione. In entrambi i casi, a lavorare durante l’università, sono stati più di otto iscritti su dieci, rispettivamente l’87,8% e l’83,5%. Inoltre, queste sono anche le aree che presentano la quota più alta di lavoratori-studenti, occupati a tempo pieno, quantomeno per un periodo: nel caso dei corsi di Educazione e Formazione sono stati il 30,6%, nel caso delle Scienze Motorie il 25,3%.
Molta buona è l’attitudine al lavoro pure degli studenti dei settori Arte e Design (72,8%), Politico-Sociale e Comunicazione (71,7%), Linguistico (71,1%), Psicologico (70,2%) ed Economico (70,1%). Quelli più focalizzati solo sull’obiettivo laurea, invece, appaiono gli iscritti in Ingegneria industriale e dell’informazione: qui poco più della metà dei laureati del 2022, più precisamente il 53,5%, aveva alle spalle un’esperienza lavorativa, di qualsiasi tipologia, svolta durante l’università. A chiedere una particolare concentrazione sugli studi sembrano pure le facoltà del comparto Medico-Sanitario e Farmaceutico e di quello Scientifico, dove rispettivamente solo il 55% e il 55,5% dei laureati aveva avuto un assaggio di vita lavorativa.
Dove il lavoro è coerente con gli studi intrapresi
Ancora meglio, però, sarebbe riuscire ad accompagnare l’università con un lavoro il più coerente possibile con le materie studiate nel proprio corso di laurea. Per iniziare a impratichirsi con le mansioni che si andranno a svolgere dopo il conseguimento del titolo. In questo caso, a farcela, sono molti di meno: in media un terzo abbondante degli universitari “lavoratori”, il 35,9% del totale.
Anche in quest’ultimo caso, comunque, vanno fatti dei distinguo. Perché ci sono aree in cui la situazione è esattamente all’opposto, con la stragrande maggioranza degli occupati in corso di studi che svolgono attività in linea col percorso accademico. E, di nuovo, le prime della classe sono Scienze motorie e sportive ed Educazione e Formazione, dove oltre 7 laureati su 10 - rispettivamente il 71,7% e il 71,5% - hanno potuto mettere nel curriculum con cui hanno bussato alle porte dei datori di lavoro applicazioni concrete di quello che avevano studiato all’università. Le uniche dove accade qualcosa del genere. Dopodiché, per trovare la terza area con i lavoratori più “coerenti” si deve scendere fino al 56,1% di Informatica e Tecnologie IT. Ad avere, invece, i tassi di coerenza tra studi e lavoro più bassi sono i settori Giuridico e Psicologia, che si fermano al 18,9% e al 14,2% di laureati con un serio passato lavorativo da far valere assieme al titolo.
“Se un tempo lavorare e studiare all'università era considerata una condizione sfavorevole, oggi paradossalmente si sta trasformando in un vantaggio. Infatti, in un mondo del lavoro sempre più complesso, in cui una laurea è solo una parte del bagaglio di competenze richieste ad un candidato, avere esperienze di lavoro durante gli studi, sebbene possa rallentare il percorso accademico o chiedere maggiore impegno per restare al passo, può risultare determinante per imparare a trovare un collocamento dopo il conseguimento del titolo. Certo, sarebbe meglio che le esperienze fossero coerenti con il percorso accademico. Tuttavia anche “andare fuori tema” può comunque giovare a sviluppare le tanto richieste soft skills, le competenze trasversali, buone per ogni lavoro”, così Daniele Grassucci, direttore di Skuola.net.