Invecchiamento, ingenti costi di ristrutturazione, ma anche tensioni politiche. Sono questi alcuni dei motivi per cui la Nasa dismetterà l'Iss
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La Stazione Spaziale Internazionale (Iss) è quasi pronta per cadere nell’oceano. Ma nessuna paura, perché fa tutto parte del piano che la Nasa ha studiato per mettere fine all’operatività della Iss e portare la stazione spaziale fuori orbita entro gennaio 2031.
La Iss nacque come progetto collaborativo tra la Nasa, l’Agenzia spaziale europea (Esa), il programma spaziale russo Roscosmos, l’Agenzia spaziale canadese e l’Agenzia di esplorazione aerospaziale giapponese. Una cooperazione fruttuosa, che nonostante le difficoltà sul pianeta, ha sempre proseguito il suo lavoro in orbita. Lanciato nel 2000, il laboratorio spaziale ha orbitato a 227 miglia nautiche sopra la Terra, ospitando più di 200 astronauti provenienti da 19 paesi diversi e rappresentando una presenza umana continua nello spazio.
Oggi, però, la Iss sta invecchiando. Continui processi di ristrutturazione si sono resi necessari negli anni per far fronte alle crepe sulla facciata, i detriti spaziali che martellano dall’esterno e le tensioni tra gli Stati Uniti e il suo principale partner della Iss, la Russia. E tutto ciò ha reso necessario produrre un piano per il ritiro della stazione spaziale.
Il piano di rientro inizierà con una serie di manovre per abbassare gradualmente la sua altitudine operativa. Questo processo, regolato da Nasa e dai suoi partner internazionali, porterà la stazione a una traiettoria che garantirà un rientro atmosferico sicuro. La manovra finale sarà eseguita utilizzando le capacità propulsive della Iss stessa e alcuni veicoli di supporto, per poi terminare la sua caduta in una “tomba acquosa” in una zona remota dell'Oceano Pacifico. Nello specifico, l’area designata per la caduta dei resti della stazione è il South Pacific Oceanic Uninhabited Area (Spoua), noto anche come Point Nemo. Un punto nell'Oceano Pacifico remoto e scarsamente popolato, minimizzando così il rischio per le vite umane e le strutture.
Questo piano di deorbitazione è parte di una strategia più ampia per garantire la transizione verso altre stazioni spaziali finanziate da privati, che sostituiranno la Iss come piattaforma per la ricerca e altre attività spaziali.
Il primo è Blue Origin di Jeff Bezos, soprannominato Orbital Reef, che auspica a mettere insieme una stazione spaziale grande quasi quanto la ISS per ospitare esperimenti scientifici, turismo e potenzialmente anche produzioni nello spazio. Altri progetti, poi, sono stati avanzati da enti privati come quello proposto dalla società Nanoracks che suggerisce di mettere insieme una base di ricerca chiamata StarLab. La stazione sarebbe circa un terzo delle dimensioni della ISS e potrebbe ospitare fino a quattro astronauti.
In molti casi, questi progetti beneficiano di finanziamenti governativi. Tuttavia il successo è lungi dall’essere garantito anche per chi ha il sostegno della Nasa. Costruire una stazione spaziale, infatti, può essere pericoloso, dispendioso in termini di tempo e incredibilmente costoso. E anche programmarne la caduta sembra essere cosa non da poco.