Secondo uno studio americano, a facilitare la fuga dell'acqua sarebbe stata una molecola dalla vita molto breve, diffusa nella parte superiore dell'atmosfera del pianeta
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Una nuova importante scoperta riguarda Venere: è stato ricostruito il meccanismo che ha strappato via l'acqua del pianeta. A rendere il gemello della Terra una sorta di pianeta deserto sarebbe un processo che avviene nella parte più alta della sua atmosfera e che costringe le molecole di acqua a rompersi per formare una nuova molecola, dalla vita molto breve. A proporre questa nuova tesi è lo studio dell’Università del Colorado a Boulder (Stati Uniti) pubblicato sulla rivista "Nature".
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Nonostante Venere sia una sorta di gemello del nostro pianeta, le sue condizioni sono estremamente diverse per dimensioni, massa e soprattutto distanza dal Sole. Venere ha infatti una densissima atmosfera nella quale l'effetto serra genera temperature di oltre 400 gradi centigradi e pressioni enormi, che fanno del pianeta un ambiente inospitale per la vita. Inoltre, Venere non ha quasi acqua: si stima ne sia presente 100mila volte meno che sulla Terra, ma secondo i modelli di formazione del Sistema Solare, nel passato ne aveva quasi quanto la Terra.
Finora nessuna teoria è riuscita a spiegare in modo convincente il meccanismo responsabile della scomparsa dell'acqua da Venere, ma secondo il nuovo studio a facilitare la fuga dell'acqua sarebbe una molecola molto diffusa nella parte superiore dell'atmosfera di Venere.
Indicata con la sigla HCO+, la molecola è composta da un atomo di idrogeno, uno di carbonio e uno di ossigeno; si forma quando l'acqua evapora a causa delle alte temperature, raggiungendo gli strati alti dell'atmosfera. Qui le particolari condizioni fanno sì che gli atomi si separino e successivamente si ricombinino per a formare HCO+. Questa piccola molecola, però, non sopravvive a lungo e la sua rottura porta alla dispersione dell'idrogeno nello spazio, derubando così Venere di uno dei due ingredienti fondamentali per l'acqua.
Secondo gli autori della ricerca, questo meccanismo è ancora in atto e per averne conferma sarebbe necessario inviare sonde, più sensibili di quelle inviate finora, capaci di riconoscere la presenza di HCO+.