Quanto ha contato l'Italia nella storia di Petrone. Era legato al suo Paese d'origine, alla Basilicata?
Quando i grandi inviati dei media italiani, compreso Tito Stagno, arrivavano a Cape Canaveral si trovavano di fronte a una sfilza di nomi stranieri: otto erano tedeschi, lo squadrone di von Braun, un paio erano vagamente anglosassoni e poi c'era questo nome italianissimo, inequivocabile. La prima domanda che gli fecero fu 'Ma lei è dei nostri?'. E Petrone rispose anche con qualche parola in dialetto, appresa in casa. 'Sono di Sasso di Castalda, in provincia di Potenza', disse. Ricordava sempre volentieri questa sua origine italiana. Anche da giovane militare, quando fu mandato in Europa dopo gli studi a West Point, andò in visita due volte a Sasso di Castalda. I suoi cugini, alcuni ancora in vita, ricordano benissimo la visita di questo ragazzone in divisa da ufficiale americano che ricevette grande accoglienza. Non era però l'americano che loro si aspettavano, cioè un po' spaccone e pieno di dollari, ma anzi si trovarono di fronte una persona rigorosa e seria. Al punto che Petrone disse di non ritrovarsi nello stile di vita di quella gente che perdeva tempo al bar a fumare e a chiacchierare. Anche se poi non tornò più in Italia, mantenne questo legame in qualche modo: si racconta che mandasse sempre gli auguri di Natale a questi cugini. E dopo la missione Apollo 11, quando divenne più famoso, fu nominato Commendatore della Repubblica dall'allora Presidente Giovanni Leone. La sua italianità fu sottolineata anche in questo modo.
Nel libro sono riportati alcuni aneddoti "curiosi" della vita di Petrone. Ce n'è qualcuno più "curioso" degli altri?
Ce ne sono due: uno che spiega l'importanza di avere Petrone al centro della sala di controllo e un altro che descrive il suo lato più umano e sensibile. Partiamo dal primo, un episodio poco noto e tralasciato nel turbinio della festa per il successo della missione. Alle 5 del mattino - l'Apollo era partito alle 21:32 - alcuni responsabili del progetto andarono a chiamare Petrone, che si era un attimo allontanato dalla sala. Quella notte non dormì nessuno, sia chiaro. I monitor aveva segnalato un piccolo sbuffo, una nuvoletta di fumo che usciva da quell'enorme bestione del Saturn V. Erano tutti spaventosissimi. Petrone arrivò lì e capì subito che si trattava di una perdita di idrogeno liquido. In quelle condizioni gli astronauti non potevano salire a bordo. Rocco però fu l'unico a ricordarsi di un particolare e mandò la sua squadra a controllare un punto preciso, una delle migliaia di valvole che costituivano il veicolo spaziale. Uno dei sei bulloni che stringevano la valvola era leggermente meno lungo degli altri. Un tecnico si era distratto, Petrone no. Grazie a questa intuizione furono rispettati i tempi della missione, evitando così una figuraccia epocale agli Stati Uniti. L'altro episodio degno di nota lo racconta Jack King, lo speaker ufficiale della Nasa. Durante uno dei tanti lanci a Cape Canaveral, avvertirono Petrone che sul luogo del lancio aveva fatto il nido una coppia di uccelli, due aironi. I suoi collaboratori, nel dirglielo, temevano una delle sue proverbiali sfuriate, e invece Petrone li sorprese. Bloccò il conto alla rovescia, mandò due macchine della security a spaventare gli uccelli per farli volare via e soltanto dopo riprese le operazioni di lancio. Uno scatto di umanità che non ti immagini da parte di un uomo che veniva chiamato "il computer".