A CURA DI ALFREDO MACCHI

“Il bambino soldato morto tra le mie braccia”

zone di crisi di Alfredo Macchi

11 Mar 2014 - 10:00
 © in-concessione

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“Ogni giorno ci portano bambini colpiti da proiettili o feriti a colpi di machete”. E' un racconto drammatico quello di Alessandra Napoleone, medico anestesista e rianimatore dell'ospedale Brotzu di Cagliari che per Emergency è appena andata in missione nella Repubblica Centroafricana, paese piombato in una guerra civile che rischia di trasformarsi in genocidio nel silenzio generale. Alessandra, madre di due figli, non è alla sua prima esperienza in zone di crisi, ma è rimasta profondamente colpita da quanto accade a Bangui, capitale del paese. In particolare non riesce a non pensare alla morte di un bambino soldato tra le sue braccia.

Sei tornata da pochi giorni dalla Repubblica Centroafricana e presto ripartirai. Cosa ti ha colpito di più?

“La morte tra le mie braccia di un bambino soldato. Avrà avuto tra i 15 e i 16 anni. Me lo avevano portato tutto coperto di sangue con una ferita alla testa, ma non ho potuto far nulla per salvarlo. Sono tantissimi i ragazzini arruolati, sia dai ribelli islamici scesi dal nord che dalle milizie cristiane di autodifesa che si combattono nella capitale. Poi ci sono i mercenari e in mezzo i civili”.

Che cosa hai visto a Bangui?

“La situazione è molto brutta. Si spara nelle strade, tutti si combattono in un grande caos e noi operiamo senza poter uscire dall'ospedale. Temo sia l'inizio di un genocidio o di una guerra religiosa. Gli unici a cercare di garantire la sicurezza sono i militari francesi ma ci sono bande armate che assaltano le case, rubano, saccheggiano, ammazzano per nulla”.

Come è la situazione della popolazione?

“Ci sono almeno centomila profughi accampati dove possono. A Migliaia sono attorno all'aeroporto. Quando il nostro aereo è sceso per tre volte non è potuto atterrare perché c'era gente sulla pista”

Che cosa sta facendo Emergency a Bangui?

"Emergency a Bangui ha un ospedale pediatrico e gestisce la sala operatoria di un ospedale pubblico. La città fino a pochi mesi fa era tranquilla poi è scoppiata la guerra. Cerchiamo anche di portare viveri e medicinali ai civili che sono nei campi profughi o che si sono rifugiati nelle chiese e nelle missioni”.

Quanti italiani sono rimasti sul posto?

"Al momento sono sette, tra chirurghi, medici e infermieri. Più il personale locale”

Tu tornerai in questo inferno?

"Si tra pochi giorni. Sento che il mio dovere è stare vicino a chi soffre. Il mondo sta passando sotto un intollerabile silenzio quanto sta accadendo nella Repubblica centroafricana".

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