Charity Report

Pakistan, sotto scorta

L'avventura di Anna e Fabio attorno al mondo

18 Set 2018 - 15:06
 © in-concessione

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Zahedan, Iran. Ci siamo lasciati dopo un pieno di benzina sotto scorta, in una città in cui non si può lasciare l'albergo. 
Domani passeremo in Pakistan.
Il pomeriggio lo passiamo controllando passaporti, visti, permessi e facendo un po' di programmazione.  Io faccio la solita manutenzione di routine: catena, gomme, olio motore. Tutto a posto. Facciamo un po' di bucato e ci annoiamo. Parecchio. 

La sera scendo per sollecitare la reception perché vorremmo partire presto, fare dogana a Taftan entro la mattina (ci sono solo 85 km) e arrivare a Dalbandin la sera. Ovviamente tutto dipende dall'efficienza delle scorte.
Purtroppo l'unica impiegata dell'albergo che parla inglese ha finito il turno. Alla fine riusciamo a comunicare grazie a Google Translate e soprattutto grazie a due ragazze ospiti dell'albergo che, oltre a essere bellissime, parlano un perfetto inglese. Le ragazze ci raccontano che Zahedan è controllata dalla mafia che fa affari a base di armi e oppio, che ha trovato un'arma di pressione perfetta nei rapimenti di cittadini stranieri. Il governo ha preso la minaccia molto sul serio e ogni straniero è sotto protezione. Però abbiamo attraversato tutta la città prima che qualcuno pensasse che dovevamo essere protetti... 
Andiamo a dormire perché domani è una giornatina pesante.

Sveglia alle 6:00, colazione alle 7:00, scorta prenotata per le 7:30. Verso le 9:00 dovremmo essere in dogana dii Taftan. Poi vedremo.
Va tutto secondo i piani solo fino alla colazione. La scorta arriva verso le 8:15. Una macchina della polizia e una moto. Poi arrivano due pickup di un altro corpo. Tre militari per ogni furgone. Il secondo ha anche una mitragliatrice, con il suo bel nastro da 50 colpi già inserito nell'otturatore, montata sul tetto della cabina. Discussione fra le due scorte. Sono le 9:00 e ci sono già 35 gradi. Partiamo con i due pickup. Quello con la mitragliatrice ci segue, l'altro ci precede. Facciamo esattamente 9700 metri. Fino al primo check point. Ci registrano e poi ci bloccano per tre ore e quindici minuti. Ci leviamo le giacche, fumiamo un paio di sigarette. Mangiamo le caramelle, finiamo tutta l'acqua. Niente. Mi levo perfino gli stivali. Niente. La nostra scorta sta sui furgoni con l'aria condizionata a palla. Quando finalmente arriva la nuova pattuglia che ci porterà più avanti, uno dei pickup ha la batteria scarica e devono farlo partire a spinta. Ci muoviamo alle 12:30. Fa un caldo infernale. 

Partiamo a velocità sostenuta, il sudore evapora e ci rinfresca un po' (cose che solo i motociclisti possono capire). Procediamo per forse 30 km poi ci fermiamo in mezzo al nulla. A sinistra, ad un centinaio di metri, c'è una casupola (2 metri per 1,5) dipinta a colori mimetici. Ci fanno mettere la moto davanti. Dentro, stipatissimi, ci sono tre soldati e una sedia. Fanno accomodare Anna. Niente acqua, niente bagno, niente da mangiare. Aspettiamo un'ora e mezza. Uno dei soldati (dei bravissimi ragazzi), corre sulla strada ogni volta che vede passare un veicolo che potrebbe essere la nostra scorta. Inutilmente. 

Verso le 14:30 arriva una nuova scorta. Facciamo altri 30 km tutti d'un fiato e ci rifermiamo ad un posto di blocco che potrebbe essere la dogana. Siamo a pochi metri dal reticolato che segna il confine con il Pakistan. Altri 40 minuti di sosta, in piedi.
Arrivano due moto con 4 soldati e proseguiamo fino alla dogana Iraniana. Sono quasi le 4:00. Un tizio piuttosto untuoso comincia a portarmi di qua e di là. Non gradisco troppo la sua compagnia ma il ragazzo si rivela efficientissimo. Da noi pretende solo che ci prestiamo a farci fotografare (mettendoci in posa) mentre passiamo da un ufficio all'altro. Ecco: ora indica la cartina e sorridi. Sorridi e stringimi la mano. Sorridi e tieni il passaporto vicino al viso. Ovviamente siamo seguiti da un altri tizio che scatta a più non posso. Probabilmente usciremo su qualche depliant. 
In mezz'ora siamo fuori. Ora tocca al Pakistan.

La stazione doganale è costituita da una serie di costruzioni basse, sparse senza alcun senso logico. Non si capisce niente ma sono tutti gentili. C'è in giro una valanga di strana gente che non si capisce bene cosa faccia. 
Si. E' davvero il Pakistan. Finalmente! 
Prometto al primo tizio che me lo propone, di cambiare dei soldi appena finite la pratiche. Lui si prodiga per farci fare tutto nel minor tempo possibile. Lasciamo la moto in mezzo al casino con su GPS, GoPro e tutto quello che anche un bambino potrebbe rubare. Passiamo sotto una tettoia, attraversiamo un paio di cortili e altrettante stanze fino al bancone dell'immigrazione. 
E' completamente coperto da omaccioni sudati in shalwar camiz. Ci sono anche un paio di uomini senza gambe che sono costretti a fare la coda in mezzo alle gambe degli altri. Appena ci vedono entrare, gli impiegati si sforzano di convincere i presenti che è meglio che si siedano. Così riusciamo a vedere che il bancone ha una serie di sportelli che erano invisibili a causa della calca. Il nostro è il primo e tutti gli altri facevano la coda per l'ultimo. Non ci sono altri stranieri perciò tocca subito a noi. Tutti i presenti, che per qualche istante erano rimasti seduti, si rialzano e si mettono a curiosare dietro le nostre spalle. Quando usciamo, si è già ricostituito il casino di prima. Dunque: abbiamo il timbro d'ingresso,  perciò ci manca solo la dogana. Cambiamo i soldi promessi: qualche rial, un po' di lire turche e 100 dollari. Vado alla moto: tutto esattamente come l'ho lasciato. Non hanno toccato nemmeno gli occhiali da sole. 

Ci spostiamo di un centinaio di metri. Altro stop. Ci portano due sedie. Volete un the? 
Si grazie. E' dalle 7:00 di questa mattina che non mandiamo giù niente. Ormai siamo talmente magri...  
Beviamo il the facendo un po' di salotto. Da dove venite, dove andate... Faccio un po' di scena (molto apprezzata) con le mie precedenti visite in Pakistan. Giubilo generale quando comunico di essere stato a Peshawar, Gilgit, Islamabad, Rawalpindi, Lahore... 

Ora spunta il registro. Nome e cognome. Non riesco a fargli scrivere il cognome. Scrivono solo Fabio Alberto. 
Numero di passaporto, numero del visto, validità, Targa della moto. 
Perfetto: ora siamo nel “protocol”. Cioè? Cioè passeremo di scorta in scorta e di check point in check point finché non saremo fuori dalla zona pericolosa. 
Ok. Questo la sapevamo. Ma a che ora si parte? 
Si parte solo domani. Questa notte “ci ospiteranno nella guest house”. La cosa mi suona un po' strana: non sono mai passato di qua, ma mi ritengo piuttosto bene informato e non mi risulta che ci sia una guest-house...
Scopriamo di cosa si tratta piuttosto in fretta. 
Ci fanno seguire una macchina per qualche centinaio di metri fino a passare un cancello. Dopo il cancello c'è un cortile pieno di rottami. In fondo al cortile c'è un altro cancello che dà su un cortile più piccolo. Il contenuto lo stesso: 5 pickup Toyota che, anche se messi insieme, non riuscirebbero a comporne uno funzionante, motociclette, carriole, lavatrici e una bella quantità di immondizia generica. Su tre lati ci sono dei bassi fabbricati. Le stanze sulla destra ricordano molto da vicino delle celle. La parte destra del lato di fondo ha degli anditi che puzzano di urina. Al centro c'è un vetusto condizionatore in funzione. A sinistra c'è una rientranza, in fondo alla quale c'è un gabinetto. Nemmeno troppo male: un buco nel pavimento, un rubinetto e un bidone d'acqua. Poca roba, poco sporco. Il lato sinistro del cortile è quello più abitato. Partendo dal fondo, ci sono: un ufficio d'angolo (scrivania, telefono e una decina di AK47), un altro ufficio (scrivania con mappamondo, due sedie, uno schedario e un paio di bandiere appese alla parete, e poi ci sono altre porte che potrebbero dare su una cucina e un dormitorio. Sulla parete dove c'è il cancello è stata disegnata, con qualche colpo di vernice, una moschea. La Mecca è in quella direzione. 
Dall'ufficio d'angolo esce un signore autorevole che ci indica l'ufficio con il mappamondo. Questa è la nostra stanza. Prima però devo seguire un tizio molto armato, che mi accompagnerà a fare la dogana. Camminiamo per qualche centinaio di metri ed entriamo nell'ennesimo fabbricato. E' uno stanzone con diverse scrivanie. Mi fanno sedere davanti a una scrivania vuota. Portano acqua e un the.  Passa un quarto d'ora e arriva un altro the. Ho fatto colazione alle 7 e non mangio nulla da almeno 10 ore. Il the mi rimette un po' in sesto ma qui siamo al terzo the a stomaco vuoto... 
Arriva il funzionario. Giovane, shalwar bianchissima e quello strano cappellino che usano qua: una specie di zucchetto cilindrico a cui sembra che i topi abbiano rosicchiato la parte frontale. Apre il carnet e sfoglia le pagine già usate. Legge qualche dato e poi lo passa a un ragazzo. Il ragazzo fa tutto: timbra, strappa eccetera. Torna solo per far mettere al funzionario le necessarie firme. Fanno anche un paio di fotocopie dei passaporti sulle quali il ragazzo riporta i dati della moto. Tutto si svolge in perfetto silenzio. Finito. Ringrazio per i the e torno “a casa”. L'uomo che ci ha assegnato la “camera” mi dice di mettermi comodo e sistemarmi per la notte. Più tardi ci porterà a mangiare qualcosa. Spero “non molto tardi” altrimenti dovrà portarci il mio cadavere. Prendiamo possesso della stanza. Caschi sulla scrivania, tute sulle sedie e materassini sul pavimento. Ci cambiamo e andiamo al bagno. Fare i propri bisogni è piuttosto agevole ma lavarsi è assai complesso. Il rubinetto è a 20 centimetri da terra e dovrebbe fare anche la funzione di sciacquone per la turca. C'è anche il bidone, ma l'acqua che contiene non è molto rassicurante, perciò la toeletta è rimandata. 

Attrezzati per la notte, ma sempre a stomaco vuoto, ci mettiamo sotto al portico. Si apre il cancello e comincia ad entrare una lunga fila di uomini. Tutti piuttosto giovani e con le mani legate. Il funzionario che “ci porterà a mangiare” (quando?) ci spiega che sono “deportees”. Hanno cercato di entrare in Iran illegalmente e sono stati arrestati dagli iraniani e riportati indietro. Ma ora hanno dei problemi ancora più grossi: uscire dal Pakistan, senza aver ottenuto il passaporto, è un reato molto grave. 
Le guardie li fanno sedere tutti a terra, ciascuno sta seduto fra le gambe di chi gli sta dietro. Così si compongono 5 o 6 file in cui ciascuno è talmente incastrato da non avere nessuna possibilità di muoversi. Per metterci ancora più in imbarazzo, decidono di farli sedere rivolti verso di noi. Poi tirano fuori una scrivania e comiciano a registrarli. Li registrano cominciando da quelli in prima fila, che sono gli unici che si possono alzare. Quando vengono chiamati per identificarsi non hanno neppure il fiato per parlare e noi siamo lì che li vediamo in faccia uno per uno. Una volta registrati, devono girare attorno ai loro compagni di disgrazia e andare nelle celle dall'altra parte del cortile. In capo a mezz'ora sono tutti chiusi nelle celle. Ormai è buio. 

Esce dal suo ufficio il funzionario “che ci porterà a cena” e decide che “ci porterà a cena”. Passiamo dal cortile A al cortile B. Nel cortile B, oltre ai rottami di cui ho già detto, c'è anche una macchina in grado di funzionare. Ci avviamo passando fra fabbricati squallidi e dopo un paio di km arriviamo ad un incrocio dove ci sono dei negozietti e una notevole quantità di signori in shalwar camiz e cappelluccio mangiato dai topi. Il nostro accompagnatore ci fa entare in un ristorante neppure male. Cosa vogliamo mangiare? Ci sono 2 opzioni: mutton birianì o chicken birianì. Vada per quello di pollo: due porzioni, più un paio di bottiglie d'acqua. Dalla cucina arrivano due sacchettoni di plastica trasparente con dento le nostre porzioni (anche con la fame che abbiamo ne sarebbe bastata una sola), qualche piatto di plastica e, proprio perchè siamo ospiti di riguardo, un paio di cucchiai. Per consumare il pasto, bisogna tornare “a casa”, perché mangiare qui è “unsafe”. Rientriamo. Nel frattempo i deportati sono stati già trasferiti.

Quando potremmo tranquillamente stenderci a terra e dormire, arriva il proprietario dell'ufficio. Un signore cicciotto, con il solito cappelluccio mangiato dai topi. Entra e si siede alla SUA scrivania, che avevamo trasformato in guardaroba, e si guarda attorno. Ci scusiamo per il disordine e ci tocca una lunga conversazione su argomenti vari.  Finalmente, molto più tardi, se ne va. Esco ancora un istante nel cortile. Sembra che non sia rimasto più nessuno. Vado al bagno. Facendolo passo davati all'ufficio in cui siamo stati ricevuti. Appoggiati al muro ci sono cinque AK47. Ciascuno con tre caricatori: uno inserito e due fissati con il nastro adesivo attorno al primo, ma “a testa in giù”. 90 proiettili per ciascuno. 450 in totale. Se arrivano i talebani possiamo difenderci per una buona mezz'ora prima che qualcuno venga a salvarci. Mi viene la tentazione di portarmene uno in “camera da letto”. Meglio di no. E sparare una bella raffica nella notte? Nemmeno questa è una buona idea. Meglio cercare di dormire un po'.

La notte non va male.
La mattina presto, carico la moto in attesa della partenza. Ci tocca aspettare ancora un bel po', fino a quando arriva il signore che ci ha portati a cena ieri. Ora è in divisa: shalwar blu picchiettata di bianco, cinturone e pistolona. Possiamo partire. Ci precede un pick up Toyota. La strada è buona e teniamo agevolmente i 90. Potremmo essere a Dalbandin all'ora di pranzo e, se tutto va bene, a Quetta in nottata. Del resto l'ufficiale ha detto che “secondo lui” le cose andranno proprio così. Purtroppo la sua competenza vale per 50 km. Poi veniamo assegnanti a un'altra pattuglia. Perdiamo tempo per il the, le fotografie e perché non riescono a decidere chi deve accompagnarci e con quale dei mezzi disponibili. Quando ripartiamo ci accorgiamo subito che la velocità di crociera è stramazzata a livelli infimi. Il pick up è uno scassone che arriva a malapena a 60 all'ora. La guardia sul cassone continua farci segno di stare molto vicini, senza tenere conto che il veicolo non ha gli stop e l'autista inchioda ad ogni buca. Traffico non ce n'è. Altri 50 km, altra sosta. Identificazione, registrazione, fotografie, attesa. Partiamo preceduti da un'altro pick up. Solo autista e capomacchina. Nel cassone non c'è nessuno. Facciamo si e no 10 km, poi il furgone rallenta e si ferma in mezzo al nulla. L'autista scende  e comincia a trafficare nel cofano. Dopo aver fatto tutti i necessari esami, mi comunica che hanno finito la benzina o, meglio, si sono dimenticati di metterla. Dovranno telefonare alla prossima stazione (a 40 km) e farsi mandare qualche litro. Chiedo se il furgone è diesel. È a benzina. Allora posso dargli 3 litri dalla mia scorta personale: forse non basteranno per arrivare a destinazione ma almeno ci togliamo da qui: non era una zona “very dangerous”? Sono contento di essere qua, così posso fare da scorta alla scorta.
Affare fatto.
Proseguiamo ad una velocità ancora inferiore perchè non possono rischiare di fermarsi ancora. Dopo meno di 20 km incontriamo il veicolo “di soccorso”. Altra sosta di mezz'ora per succhiare qualche litro dal veicolo A e travasarlo nel veicolo B. Si riparte. Finalmente raggiungiamo un villaggio di fango dove c'è la stazione di polizia.  Registrazione, fotografie, cambio di pick up. Mi portano tre litri di benzina (di quella buona: è iraniana). Ripartiamo. Il nuovo pick up che ci è stato assegnato si ferma e non riparte più. E' diesel. Non posso fare nulla per loro. L'autista scende, apre il cofano stacca i tubi del carburante e comincia a soffiarci dentro. Il motore riparte. Si va. 

Di cambio in cambio, a metà pomeriggio arriviamo a Dalbandin, con un ritardo sulla tabella di marcia di almeno 4 ore. Mi portano a fare il pieno di benzina di contrabbando (di quella buona: è iraniana) e poi all'unico albergo di Dalbandin. L'albergo è l'unico, è OBBLIGATORIO dormire qui ed è VIETATO uscire. Vorremo comprare qualcosa da mangiare. Possiamo andare solo nei due negozi che stanno a fianco dell'albergo. Non vendono alimentari. Allora possiamo chiedere al militare, che dormirà qui per proteggerci, di accompagnarci al più vicino negozio di alimentari. Ci cambiamo e chiediamo di uscire per acquisti. L'uscita vede un gruppo così composto: noi due, il soldato di scorta, il padre del proprietario dell'albergo (in veste di consulente) un ragazzino (probabilmente il nipote), un paio di curiosi. Quando rientriamo in albergo il gruppo è assai più numeroso. La sera, il cortile dell'albergo è il punto di ritrovo della Dalbandin che conta. Ci prendiamo una bibita e facciamo conoscenza con i presenti. Il cuoco viene a dirci che il soldato di scorta ha fame e dobbiamo pagargli cena e colazione.   

La mattina mi sveglio presto e scendo per controllare la moto. Il soldato ha dormito a terra nel cortile avvolto in una tovaglia. 
Arriva la nuova pattuglia. Mentre aspettiamo, un signore molto gentile mi spiega che “the road from Nukkur to Quetta is very good. From Dalbandin to Nukkur is very good not”. L'inglese non è un granchè ma il concetto è chiaro. In realtà la strada potrebbe essere anche molto peggio. E' una collezione di buche enormi collegate da parecchi tratti di sabbia, ma la sabbia non è profonda e le buche sono abbastanza evitabili. In più è nuovoloso e non fa troppo caldo. Ovviamenta la giornata si svolge in un infinito ritornello di registrazione e cambi di scorte, più o meno sgarruppate. C'è solo una costante: nessuno dei veicoli che dobbiamo seguire ha gli stop funzionanti. 
Così arriviamo a Quetta che è già piuttosto tardi. Continuiamo a chiedere fino a quando dovremo essere scortati e quali sono i limiti alla nostra libertà. I pareri sono discordanti ma quasi tutti ci dicono che da Quetta in avanti saremo liberi. 
Ma i pareri sono una cosa e la realtà è un'altra. 

A Quetta c'è un traffico bestiale e gli ultimi veicoli di scorta sono due vecchie autoblindo (sempre senza stop) che viaggiano ad una velocità che definire velocità è un non sense. Poi ci mettono nelle mani di una scorta in motoretta che ci accompagna all'albergo (l'unico consentito). E' un bel posto. C'è un bel parcheggio coperto, il personale è gentile e servizievole. Il vero problema è che la polizia  se ne va con i passaporti. Dovremo fermarci un giorno durante il quale dovremo (sempre scortati) andare al comando della polizia per ottenere l'NOC (non objection certificate) che ci consentirà di proseguire verso destinazione sconosciuta. La mattina arriva una pattuglia che chiama un tuctuc e ci scorta al comando della polizia. Ci piazzano in uno dei soliti uffici pakistani. Il ritmo di lavoro è molto rilassato, così ci tocca una lunghissima conversazione. 
Dopo un'oretta il documento è pronto. Qualcuno ci accompagna nell'ufficio del dirigente (si capisce che è  un dirigente perchè ha l'aria condizionata ed è solo), che deve mettere la firma. Il tizio non ci degna di uno sguardo. Cincischia il documento per qualche istante e poi firma. Ci riportano nell'ufficio iniziale dove ci consegnano la nostra copia. Saluti, scorta, albergo. 
Adesso siamo liberi?

NO. Dovremo essere scortati a Sukkur. Molto seccante. Sukkur è in direzione di Karachi, mentre noi dobbiamo andare verso Multan, il che aggiunge almeno 1000 km al nostro viaggio. E dopo?
Beh, intanto dobbiamo attraversare un altro deserto, perciò sarebbe meglio partire presto. La scorta arriva alle 9. Motorino, attesa. Autoblindo, attesa, Altro autoblindo, altra attesa. Poi inzia il solito carosello di furgoncini, motorini e check point. All'inizio cominciamo a gridare agli autisti di accelerare. La velocità non supera i 40 km/h. Dopo molta insistenza accelero e li pianto lì. Purtroppo il giochetto funziona solo fino al primo check point, dove ci dobbiamo fermare, riempire l'ennesimo modulo e aspettare che la scorta ci raggiunga, oppure, ancora peggio, che arrivi una scorta a rilevare la prima. La tappa di oggi è di 500 km. La strada è bella e, in certi tratti anche divertente ma ce la stiamo macinando a 30 km all'ora di di media. All'ora di pranzo, ci sono fra i 44 e i 46 gradi e abbiamo fatto meno di 150 km. Non pensiamo di proporre una sosta per mangiare o per bere: cerchiamo di spronare le scorte a viaggiare più veloci possibile.
Alle 4, sono devastato e mi fermo al primo posto di ristoro per camionisti per bere o mangiare qualcosa: siamo solo a mezza strada. Il posto, secondo i parametri occidentali è assai poco rassicurante. Ordiniamo due Cocacola: idrata ed è zuccherina. C'è solo calda: fa schifo, ma idrata ed è zuccherina lo stesso. Bevo e ne ordino un'altra. Provo ad alzarmi. Non ce la faccio: sono abbagliato dalla luce, la testa mi gira, le orecchie ronzano e non mi mantengo in equilibrio. Il mio aspetto deve essere in linea con le sensazioni perchè i loschi figuri che ci circondano mi fanno stendere, Mi mettono un cuscino sotto la testa e discutono su cosa fare di me (la storia me l'ha raccontata Anna, perchè ricordo ben poco). A qualcuno viene l'idea di prendere del ghiaccio e rinfrescarmi. Mi riprendo un po', ma ogni volta che provo a rialzarmi mi manca l'equilibrio. Decidono che non posso guidare, perciò devo scaricare i bagagli dalla moto e salire sul furgone di scorta. Non sono convinto ma non sono in grado di oppormi. Uno dei militari sostiene di essere un ottimo pilota. Ficchiamo tutto sul furgone. A quel punto devo spiegare al pilota alcuni comandi fondamentali. Lui zampetta per tirare la moto giù dal cavalletto e si rende che non tocca terra, che non trova i pedali e che la moto pesa parecchio. Perciò decide che non se la sente. A quel punto io mi sono ripreso abbastanza per imporre che, scaricata dal peso di Anna e di gran parte dei bagagli, la moto la posso guidare anch'io. In più, per evitare eventuali colpi di calore, toglierò la giacca e guiderò in maglietta. Visto che non si trova un altro volontario per sostituirmi e non si può restare lì per la notte (che sarebbe stata la cosa migliore: ormai ero amico di tutti)

Partiamo. In effetti, seduto sulla moto sto benissimo, si sta facendo sera e non fa più il caldo di prima. Purtroppo non possiamo evitare un passaggio al più vicino ospedale dove ci riempiono di biscotti, succhi di futta e raccomandazioni. Nel servizio è anche incluso il controllo glicemico: io ho 158 e Anna 170. 
Ci rimettiamo in viaggio senza ulteriori problemi, a parte i cambi di scorta e registrazioni, e arriviamo a Sukkur verso le 24. L'albergo fa schifo ma ci fanno parcheggiare la moto alla reception e ci procurano da mangiare. 
Da qui in avanti siamo liberi! Viaggieremo alla velocità che ci pare e ci fermeremo quando vogliamo noi.

Perciò: sveglia alle 5.45 . Carico della moto in 10 minuti: la colazione la servono dalle 6. Partenza entro le 6,30. Multan è a 450 km. Anche se la strada è brutta e trafficata dovremmo arrivare al massimo a metà pomeriggio. 
Detto fatto. La moto carica non passa dalla porta perciò la spingo fuori dall'albergo, carico le borse. E' ancora quasi buio e non c'è in giro nessuno. Faccio colazione e riesco alle 6 e 10. C'è la pattuglia che ci aspetta. Inutile fare domande e chiedere spiegazioni: nessuno di loro parla inglese. Ci fanno gesto di seguirli. Io e Anna non ci diciamo nemmeno una parola, altri 400 km dietro a questi furgoni senza stop. Usciamo dalla città e ci avviamo verso Multan. Dopo un po' di chilometri ci fermiamo per unirci a un'altro convoglio. Ne fanno parte due Toyota civili e due furgoni militari, decisamente più agguerriti della nostra scorta: pickup mimetici con tanto di mitragliatrice. Ci disponiamo così: la polizia davanti poi noi in moto. Seguono un furgone militare, le due Toyota e altri militari in chiusura. 
Qui è utile qualche notizia sulle regole del traffico Pakistano sulle arterie definite GT (che non sta per Gran Turismo ma per GENERAL TRAFFIC). Le autostrade esistono ma sono interdette alle moto e sono troppo care per i camion che si riversano tutti sulle GT. Le GT sono, generalmente, a due corsie per senso di marcia. Visto che si tiene la sinistra, la corsia di sorpasso è quella a destra, definita “fast lane”. Ed è quella dove i camion non potrebbero andare. Però, la corsia di sinistra (slow lane) è occupata da tuctuc, carretti, biciclette, bufali, relitti, venditori ambulanti e veicoli in sosta che rendono la circolazione assai complessa e rischiosa. Per questo motivo i camionisti si piazzano sulla fast lane e non si spostano più. Se li vuoi sorpassare devi superarli a sinistra. Cosa che fanno puntualmente tutti, compresi gli autobus che sono la cosa più veloce che potrete trovare sulle strade Pakistane. Piombano a 80 all'ora, seminando il panico fra tuctuc, carretti, bicilette, bufali, relitti, venditori ambulanti e veicoli in sosta. La tradizione è questa e, quando ti ci sei abituato, ti sembra quasi normale. Segui il camion fino a quando trovi un pertugio alla sua sinistra in cui infilarti e lo superi in tromba. Tutto sommato viaggiano a non più di 40 all'ora. 
Il furgone della polizia che ci precede ci tiene alle regole e decide che TUTTI si devono spostare sulla corsia di sinistra per far passare il nostro convoglio. Perciò ingaggia una lotta senza quartiere con ogni camion. Li pressa da vicino, zigzaga a destra e a sinistra per farsi vedere e, quando finalmente riesce a farne spostare uno, gli si affianca e uno dei poliziotti, che viaggia appeso fuori dal cassone, mena delle gran bastonate alla cabina. Nelle condizioni in cui siamo non ci è possibile documentare il fatto ma in una mattinata ha rotto diversi finestrini e più di uno specchietto retrovisore. Quando gli si è stancato il braccio è passato a altri metodi. Prima tirando della gran secchiate d'acqua nei finestrini e poi, quando l'acqua comincia a scarseggiare, riempiendosi la bocca e la sputandola sui camionisti. Ovviamente la battaglia per il ritorno alle regole della circolazione non accelera la nostra marcia. Anna poi, è terrorizzata dal mio collasso e impone una sosta per il pranzo. Tutta la carovana si dirige verso un buon ristorante. I soldati rimangono fuori con le armi spianate mentre ufficiali e “scortati” pranzano. Dopo pranzo si prosegue. Multan non arriva mai.

Raggiungiamo Multan che è già buio. Per primi vengono portati a destinazione i cinesi, poi la scorta ci chiede dove siamo sistemati. Sperando di essere liberi abbiamo prenotato per conto nostro. Diamo il nome dell'albergo al capo scorta. No. Questo albergo non va bene: non ha le caratteristiche di sicurezza richieste. Litighiamo un bel po' ma prendono in mano la situazione e ci portano d'ufficio in uno degli alberghi più cari della città.  E' una specie di bunker. Muri altissimi, cancelli automatici e guardie private ovunque. Nella speranza di essere liberi di muoverci, avevamo deciso di fermarci 2 notti. Invece potremo muoverci solo “sotto scorta”. Andiamo a dormire molto arrabbiati.

Durante la notte cerchiamo una strategia per avere un po' di libertà. Rintracciamo il nome di un motociclista Pakistano di Multan e ci mettiamo in contatto con lui. Si offende perché non siamo andati ad abitare da lui (chissà che ne avrebbe pensato la polizia) e poi dice che ci verrà a prendere e risolverà tutto lui.  Arriva e passa due ore al telefono con la polizia e ottiene che potremo visitare uno dei monumenti della città viaggiando sulla sua auto (niente moto) seguiti da una scorta. La cosa diventa ridicola. Quando arriviamo alla tomba di Shah Rukn-e-Alam siamo lo spettacolo del giorno. Noi tre in mezzo e 5/6 uomini armati. Ci stanno disegnando un bersaglio sulla schiena. Le comitive locali si fermano per fotografarci. La visita include tutto quello che si può vedere nel raggio di 100 metri dalla tomba. 
Chiediamo di fare qualche acquisto e torniamo nel bunker.
Alla fine, il nostro accompagnatore inizia una lunga trattativa con la scorta, per domani mattina. Noi strappiamo una partenza alle 7, il nostro ospite un passaggio nei suoi uffici per fare qualche fotografia ricordo. 
Andiamo a lavare le mutande e fare un po' di manutenzione.
 
La mattina tutto si svolge come da programma. Ci aspettano altri 450 km per arrivare a Lahore dove saremo SICURAMENTE LIBERI. La scorta ha affermato che ci seguirà solo fino ai limiti della città. Arriviamo ai limiti della città ma la scorta non molla. Sono veramente stufo. Se vogliono scortarci sono fatti loro, ma la velocità oggi la decidiamo noi. Mi affianco e faccio segno che io accelero. Se vogliono seguirmi basta che premano sul pedale. Li vedo scomparire nello specchietto. Dopo mezz'ora c'è un posto di blocco: Ci fermano e ci impongono un'altra scorta. Ripeto esattamente lo stesso giochetto: faccio segno di accelerare e poi me ne vado. Non ci sono più check point, perciò arriviamo a Lahore a un'ora decente, facendo la strada che preferiamo e senza ulteriori scocciature.

Ovviamente un numero imprecisato di veicoli ha fatto di tutto per ucciderci, ma questo fa parte delle cose inevitabili, se si viene da queste parti.
Adoro Lahore e ormai la conosciamo piuttosto bene. Nelle varie visite ci avremo passato almeno 20 giorni. Se volete stare bene, piazzatevi dalle parti MM Allam Street.  Ci sono tutte le cose che servono; il mercato, un paio di piccoli supermercati, raggiungere il centro in tuc tuc è piuttosto veloce e se avete voglia di camminare potete arrivare fino al Delhi Gate anche a piedi. Ci sono diverse guest house e un bel po' di alberghi di varia caratura. C'è perfino un distributote delle Shell con la Vpower (che, dopo centinaia di litri di benzinacce farà urlare di gioia il vostro motore) e, per i viziosi, c'è anche il miglior tabaccaio di tutto il Pakistan. Abbiamo già prenotato e avuto la conferma. Ci fermiamo due notti, cosi facciamo i turisti e cerchiamo di mettere su mezzo chilo a testa. Entriamo, parcheggiamo rimettiamo on line i telefoni e riceviamo una mail dalla guesthouse che comunica “di non avere stanze disponibli”. Chiediamo del manager e gli  facciamo una bella pezza. Visto che siamo parecchio arrabbiati lui scopre di avere una stanza libera “che gli era sfuggita”. E domani? Ce lo farà sapere domattina. Andasse al diavolo. Non smontiamo neppure i bagagli. Ci cambiamo, andiamo a pranzo, facciamo un po' di spesa e andiamo a riposarci. Ci piacerebbe rivisitare la città ma ora ne abbiamo abbastanza.

La mia storia d'amore con il Pakistan dura da molti anni. Ho sempre detto che è uno dei paesi più belli del mondo. Trovo che abbia una popolazione stupenda. Insomma: lo amo. Ma oggi ho deciso che dobbiamo prenderci una pausa di riflessione. Staremo un po' di tempo senza vederci a cominciare da oggi. La mattina, mentre facciamo colazione, il manager ci comunica che c'è una stanza disponibile anche per la notte successiva. 
No grazie. Abbiamo deciso di partire oggi. Sono molto triste, ma farmi passare la tristezza ci pensano: 
A) 2 posti di blocco dove ci fanno un sacco di problemi per capire come mai siamo arrivati lì 
B) un poliziotto che ci obbliga a fare un lunghissimo giro per non farci fare 300 metri di Motorway (che, come tutti sanno, è “forbidden for motorbikes”). 
Passiamo in India.

Stojan Around the World - capitolo 2: Pakistan

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