Il teatro come sbocco a novelle e romanzi
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Facendo una piccola digressione possiamo rilevare come, sempre Benedetto Croce, avesse già sbagliato il suo giudizio su Giacomo Leopardi. Non comprese mai, il filosofo idealista, e mai giustificò le istanze del pessimismo del grande poeta recanatese, poiché lo considerava mero riflesso di un ingorgo del sentimento e della sventura fisica e morale dell'uomo che si era travasato nella sua poesia.
Diceva Guido Piovene, parlando di Pirandello in occasione del 25° anniversario della morte, “resta sempre uno scarto tra il giudizio italiano medio e quello del resto del mondo… Il livello più giusto gli è stato assegnato da Gabriel Marcel, che lo poneva accanto a Ibsen e a Cechov nella storia universale del teatro recente” (24). Lo strano – ma forse è l'ennesimo realizzarsi del classico detto nemo propheta in patria – è che le testimonianze degli esponenti non italiani della cultura europea sono in genere di riconoscimento del valore e dell'importanza dell'opera pirandelliana. Per esempio Thomas Eliot: “Pirandello è un drammaturgo nei cui confronti tutti i drammaturghi coscienti, della mia e delle successive generazioni, sono legati da un debito di riconoscenza” (25). Oppure André Maurois: “Luigi Pirandello è stato per il teatro ciò che Proust era stato per il romanzo: il più grande genio-inventore del nostro tempo”(26). O, ancora, il grande commediografo Jean Anouhil: “Pirandello è la chiave di volta del teatro moderno” (27).
Pur se contiene qualche forzatura, è interessante cogliere nelle parole dello studioso statunitense Robert Brunstein la grande influenza che Pirandello ha avuto sugli autori teatrali del Novecento:
L'influsso di Pirandello sul dramma del secolo ventesimo è incommensurabile. Nelle sue angosce per la natura dell'esistenza è precursore di Sartre e di Camus; nelle percezioni della frantumazione della personalità e dell'isolamento dell'uomo è precursore di Beckett; nella sua guerra feroce contro le parole, la teoria, i concetti, e la mente collettiva è precursore di Ionesco; nell'atteggiamento verso il conflitto fra illusione e verità è precursore di O'Neil e, più tardi, di Pinter e Albee; nella sua sperimentazione teatrale è precursore di tutti i drammaturghi sperimentali, da Wilder a Gelber; nell'uso dell'interplay fra attore e personaggio è precursore di Anouilh; nel suo concetto della tensione fra maschera pubblica e volto privato è precursore di Giraudoux; e nel suo concetto dell'uomo come bestia che recita una parte è precursore di Genet… Pirandello è l'autore più seminale che sia mai esistito (28).
Come accennato all'inizio qui voglio parlare di Pirandello drammaturgo, lasciando da parte, anche se non sarà completamente possibile, il grande autore di novelle e romanzi. D'altronde il teatro è la forma d'arte che gli ha consentito di ottenere fama mondiale. Attraverso il teatro l'opera di Pirandello si è universalizzata, è divenuta l'espressione di una crisi di civiltà; e siccome la crisi è perdurata – e da non pochi segni sembra che perduri – essa è andata oltre il proprio tempo e continua a parlare anche a noi. Se Pirandello avesse limitato la sua produzione ai romanzi e alle novelle oggi sarebbe considerato un importante autore letterario a cavallo tra Ottocento e Novecento, lo si studierebbe nelle scuole come decine di altri autori e tutto finirebbe lì. La grande “trovata” di Pirandello è stata quella di aver affidato i suoi tormenti, le sue convinzioni, il suo “mondo”, ad esseri umani in carne e ossa – gli attori – che sono diventati i suoi vivi testimoni in tutti i teatri del mondo.
Ma prima di parlare del teatro di Pirandello e della sua opera più significativa, Sei personaggi in cerca d'autore, occorre dedicare qualche sforzo a cercare di comprendere l'idea di teatro che aveva proprio Pirandello e, di conseguenza, il suo rapporto con esso. Perché “il primo interrogativo che ci si deve porre… riguarda le ragioni di un ritardo, prolungato e ostinato, alla “chiamata” di una vocazione che pure doveva essere prorompente fin dalle prime prove” (29).
Dobbiamo aspettare fino al 1910 (Pirandello ha quarantadue anni) perché qualche suo lavoro veda le scene: l'amico Nino Martoglio lo convincerà a fargli mettere in scena due atti unici, La morsa e Lumìe di Sicilia. Solo un anno prima, nel dicembre del 1909, scriveva a S. Munzone “Io, se Dio m'assiste, non scriverò mai né commedie, né drammi” (30). E motivava il fatto con argomentazioni, contro il teatro divenuto rappresentazione, che ritroviamo in alcuni articoli di quel periodo come Illustratori, attori e traduttori del gennaio 1908 e Teatro siciliano? del 31 gennaio 1909. Cosa sosteneva? Un'idea semplice, ma non esatta: “Per me, l'opera d'arte, tragedia, dramma o commedia, è compiuta, quando l'autore l'ha convenientemente espressa: quella che si ascolta in teatro è una traduzione di essa; una traduzione che, per necessità… guasta e diminuisce” (31) Il problema creato da questa “traduzione” viene affrontato nell'altro articolo citato sopra.
Ma la ragione fondamentale per parlare di Pirandello drammaturgo risiede nel fatto che tutta la sua opera “prevede” come suo logico e naturale sbocco il teatro. Inizia con le novelle, prosegue con i romanzi, arriva al teatro. “I personaggi […] escono da una novella ed entrano in un romanzo […] e, ancora scontenti, dalle silenziose pagine di un romanzo affrontano […] le scricchiolanti tavole di un palcoscenico” (32). Se, ad esempio, consideriamo le novelle da un punto di vista cronologico, ci accorgiamo come in quelle relative agli anni della sua, diciamo così, “conversione” al teatro, la forma espressiva preveda una sempre crescente importanza delle parti dialogate, quasi esse fossero già scene teatrali. D'altra parte, se la sua opera di narratore non fosse stata già “intrisa” di teatro non avrebbe potuto essere trasfusa in esso così copiosamente.
Infatti, la prima osservazione che nasce dall'analisi dei titoli delle opere drammatiche e, soprattutto, dalle trame, è che tutto il teatro di Pirandello ha il suo punto di partenza nella sua opera di narratore. Per ogni dramma possiamo trovare – nella copiosa produzione novellistica o in un romanzo – un annuncio, una traccia, una qualche forma di preparazione.
Tuttavia, questo non ci consente di trarne la conseguenza – come invece qualche critico ha fatto – che con il teatro Pirandello si sia limitato a essere una specie di divulgatore di se stesso e di quanto aveva già detto meglio altrove. Dice Piovene:
Una caratteristica del grande teatro è di bruciare buona parte delle premesse che condizionano i conflitti tra i personaggi, rappresentando quei conflitti alla punta, distruggendo dietro di loro quasi tutto il lavorio d'approccio che si è compiuto nell'animo dell'autore. Rispetto alle novelle questo avviene nelle migliori opere di Pirandello che appaiono svincolate, sebbene lo portino dentro, da ogni riferimento stretto sia con la vita italiana del loro tempo, sia con le speciali miserie dell'Italia meridionale (33).
Gli inizi sembrano ricalcare gli schemi e lo stile del teatro verista e borghese di fine XIX secolo. Non occorre ricordare che Pirandello proveniva dalla stessa terra di Verga e di Capuana e che, soprattutto con quest'ultimo, ebbe assidui rapporti tanto da credere che abbia cominciato a scrivere dietro suo consiglio. Inoltre, il suo teatro, tutto incentrato sull'uomo che viene prima di tutto, avanti anche alla stessa azione, ha senza dubbio qualche radice nel naturalismo francese: per fare un nome, Emile Zola, che Pirandello ben conosceva per averne tradotto alcuni lavori. Da qui deriva la sua esigenza di scavare l'umanità in modo profondo; e, quindi, con lui “diventa molto più importante – poiché vi si trova più poesia – un piccolo appartamento borghese, dove però vivono donne e uomini veri, che non i palazzi dove si fa la storia” (34).
Anche l'uso del dialetto nelle prime opere teatrali è nella logica del verismo italiano: gli sembra così di dare vita ad un più profondo bisogno di verità. Del resto anche l'approdo al teatro si pone nella stessa direzione; il dialogo si oppone alla “letteratura”, perché nella vita si parla e non ci si limita a descrivere.
Ma qui finiscono le influenze e le affinità con il verismo, perché Pirandello non solo non elimina – come invece il verismo tende a fare – le due presenze fondamentali per il teatro: l'autore e il pubblico; ma, anzi, coinvolge profondamente e autore e pubblico in modo che divengano parte visibile e integrale dello spettacolo drammatico.
24 Guido Piovene, "Come in un altro giorno”, in Pirandello, Edizioni Teatro Stabile città di Genova, Genova 1961, p. 8
25 Thomas S. Eliot, citato in Pirandello, Edizioni Teatro Stabile città di Genova, Genova 1961, p. 66
26 André Maurois, citato in Pirandello, Edizioni Teatro Stabile città di Genova, Genova 1961, p. 70
27 Jean Anouhil, citato in Teatro contemporaneo di Vera Passeri Pignoni, Edizioni Città di Vita, firenze 1967, p. 13
28 Citato in Andrea Camilleri, Pagine scelte di Luigi Pirandello, Edizioni BUR, Milano 2007, p. 31
29 Renato Barilli, Pirandello. Una rivoluzione culturale, Oscar Mondadori, Milano 2005, p. 145
30 Citato in Gaspare Giudice, Pirandello, UTET, Torino, 1980, nota 4 a p. 306
31 Luigi Pirandello, Teatro siciliano? in "Rivista popolare” del 31/1/1909; citato da A. Camilleri, Pagine scelte di L. Pirandello, Bur, Milano 2007
32 Giovanni Macchia, "Luigi Pirandello”, in Storia della letteratura italiana, IX. Il Novecento, Garzanti, Milano 1969, p. 445
33 Guido Piovene, "Come in un altro giorno”, in Pirandello, Edizioni Teatro Stabile città di Genova, Genova 1961, p. 17
34 Giovanni Macchia, "Luigi Pirandello", in Storia della letteratura italiana, IX. Il Novecento, Garzanti, Milano 1969, p. 468
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