Citando il fascino aristocratico e ribelle dei cigni di Truman Capote, Massimo Giorgetti abbraccia l'idea di una femminilità libera, allergica all’ordinario. Se Capote raccontava di pioniere femminili, “eroine tragiche” in una gabbia dorata di codici e convenzioni, MSGM dà vita a una nuova generazione di donne che - pur in tempi e modi diversi - non smettono di sconvolgere le categorie e infondere creatività dove c’è stasi.
Quasi un racconto cinematografico, la collezione sembra seguire una sceneggiatura, di cui Capote è musa e ghost writer. Il gusto dello scrittore per le atmosfere sofisticate, le persone singolari, i luoghi di piacere e di cultura fa il paio con l’ossessione di MSGM per i ritrovi urbani - bar e ristoranti - dove le energie si incontrano e la città prende vita.
Attraverso la lente di MSGM, le suggestioni della Côte Basque si riverberano in una storia contemporanea dalle pieghe dark: la collezione - come la società di Capote - è luccicante all’esterno e oscura nell’animo.
Il passato è riletto e distorto, l’heritage borghese dei cigni è squarciato da zip, costellato di borchie di cristallo. È un’evoluzione sofisticata, più pulita e intensa per MSGM: la palette muted oscilla tra grigio mastice e antracite, crema e cipria, con tocchi di lipstick red e azzurro ceruleo in un mondo deep black.
Accenti cocktail incontrano dettagli punk, l’enfasi è su volumi e texture — la lucentezza dei ricami e dei materiali shiny, le vestibilità fitted che si mescolano a capi over, quasi presi in prestito dall’armadio dei genitori apposta per essere stravolti in look nuovi. I piatti, i bicchieri e i lampadari di cristallo - simulacra dei salotti dell’upper class - diventano pennellate vivide sui capi, opera dell’artista belga Jan De Vliegher.
Gli ospiti dello show si immergono in un setting surreale, che ricrea l’ambiente sfarzoso ma benpensante di un ricevimento newyorkese - tra champagne e canapé. Come in una scenografia alla Dogville, lo spazio è diviso in stanze immaginarie, perimetrate da tende. Un riecheggiare ovattato di suoni si muove tra una stanza e l’altra, mentre ritmi elettronici evolvono in un’accelerazione incontenibile, con la voce aliena di Klaus Nomi a scandire il tempo. È un soundscape lirico/onirico rotto dal fragore dei piatti di porcellana, dei bicchieri di cristallo, dei lampadari scintillanti che si infrangono in un divertissement distruttivo.