Dalla crisi dell'automotive con scioperi e dimissioni illustri fino al valore record dei bitcoin, al centro dell'anno che sta per chiudersi dossier economici che continueranno a essere cruciali anche nel 2025
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Il caso Tavares-StellantisGli scioperi Volkswagen e la crisi tedescaI bitcoin volano sopra i 100kIl taglio a bonus ed ecobonusIntelligenza artificiale, il boom di Nvidia in Borsa
Il 2024 è stato un anno movimentato per il settore dell'automotive. Mesi di crisi del gruppo Stellantis hanno portato alle dimissioni dell'amministratore delegato Carlo Tavares, mentre le difficoltà economiche della Germania hanno messo a dura prova Volkswagen, portando i sindacati ad annunciare "la più lunga battaglia di contrattazione collettiva mai vista". Ma l'anno che sta per chiudersi ha registrato anche record e traguardi importanti: i bitcoin hanno superato per la prima volta i 100mila dollari e Nvidia, l'azienda produttrice di schede grafiche per pc, grazie agli investimenti nell'AI è diventata regina della Borsa, superando per la prima volta la concorrenza. E poi la Manovra, con la decisione del governo di proseguire nei tagli di bonus ed ecobonus.
Nonostante poche settimane prima avesse annunciato che avrebbe rivestito il suo ruolo fino a fine del mandato, nel 2026, l’amministratore delegato del gruppo automobilistico Stellantis, Carlos Tavares si è dimesso il 1° dicembre. Il gruppo, che ha subito accettato le dimissioni rassegnate con effetto immediato, ha fatto sapere di aver già avviato l’iter per la nomina del nuovo ad, con l’obiettivo di concluderlo entro la prima metà del 2025. Tavares si sarebbe dimesso a causa di forti divergenze con alcuni alti dirigenti sul futuro del gruppo automobilistico. La notizia è arrivata in un momento delicato per Stellantis, tra forti cali di profitto, dati negativi delle vendite (in Europa e negli Stati Uniti) e tensioni con i sindacati.
Momento di crisi dettato anche dallo scontro con il governo, scandito da botta e risposta su incentivi auto e costo del lavoro in Italia. L'esecutivo ha accusato più volte Stellantis di non tenere in debita considerazione “l’italianità” del marchio, dal momento che diverse produzioni sono state spostate all’estero. Tavares ha sempre risposto dicendo che in Italia non c’è domanda: secondo lui le persone comprano sempre meno auto e tendono a cambiarle con sempre meno frequenza. Per questo ha continuato a sostenere la necessità di nuovi incentivi statali, in particolare per l'elettrico.
Così, dopo settimane di discussioni, si è giunti a un tavolo di confronto tra governo e Stellantis. Il primo dopo l'addio del numero uno del gruppo italo-francese, Tavares, e il conseguente cambio di tono da parte del presidente Elkann. Il risultato è stata la definizione del "Piano Italia", annunciato da Jean-Philippe Imparato, capo Europa del Gruppo. Secondo il piano a Pomigliano, dal 2028, sarà installata da Stellantis la nuova piattaforma (Stla-Small), sulla quale è prevista la produzione di 2 nuovi modelli compatti.
"In generale - ha promesso Imparato - tutti gli stabilimenti di Stellantis rimarranno attivi e la capacità produttiva crescerà dal 2026". Per il prossimo anno, ha aggiunto, "sono previsti circa 2 miliardi di euro per gli stabilimenti e 6 miliardi di euro in acquisti da fornitori operanti in Italia". Poi una precisazione che suona anche come una stoccata alla politica: "Stellantis porterà avanti il piano industriale in Italia con risorse proprie, senza qualsiasi forma di incentivo pubblico alla produzione".
Il 2024 è stato un anno di profonda crisi economica per la Germania. Gli investimenti delle aziende tedesche si sono ridotti del 12%, quelli dall'estero sono diminuiti e tra i paesi avanzati la Germania è l'unico a essere in recessione. La locomotiva d'Europa si sta trasformando in zavorra, rischiando di portare a fondo anche il comparto produttivo. In questo contesto si inserisce il lento declino di Volkswagen, la più importante società automobilistica del paese e tra le più grandi dell’Unione Europea. Una crisi che rischia di avere importanti conseguenze sull'economia: dalla sua produzione dipendono il lavoro di più di 700 mila dipendenti (di cui 300 mila solo in Germania) e l’attività di migliaia di aziende dell’indotto. All'origine delle difficoltà un contesto complesso, che vede un'azienda che ha faticato a riprendersi dopo l'impatto della pandemia e ancora vittima dell'aumento del costo dell'energia scoppiato con la guerra in Ucraina, le cui vendite sono in calo così come la capacità produttiva.
Ad aggravare La situazione di Volkswagen il fatto che il suo mercato di riferimento è la Cina, dov’è concentrato il 40% delle vendite. È però un mercato su cui ha smesso di essere competitiva rispetto ai produttori locali, perché i suoi veicoli sono eccessivamente costosi paragonati a quelli cinesi, soprattutto nel caso dei modelli elettrici. Volkswagen, come molte altre realtà occidentali, è particolarmente esposta al declino dei modelli tradizionali e all’aggressiva concorrenza cinese: la sua auto elettrica meno costosa ha un prezzo di 40 mila euro, più del doppio di quelle cinesi di fascia bassa.
Così, l'azienda per la prima volta nella sua storia ha iniziato a valutare la chiusura di alcuni stabilimenti per far fronte all’ormai strutturale calo delle vendite. Poi ha dichiarato l’intenzione di ridurre il numero dei dipendenti per tenere sotto controllo i costi, annullando così un accordo aziendale in vigore da trent’anni che impedirebbe licenziamenti di massa almeno fino al 2029.
I sindacati hanno già indetto due scioperi solo nel mese di dicembre, annunciando "la più lunga battaglia di contrattazione collettiva mai vista da Volkswagen". Nel primo giorno di sciopero Daniela Cavallo, la donna che guida il consiglio di fabbrica di Volkswagen, ha ricordato che l’azienda “è stata un’enorme macchina da profitti negli ultimi tempi”. Ora chiede che “tutti diano il loro contributo, compresi il cda e gli azionisti”.
Si chiude un annata da record per il bitcoin. Una delle più popolari e scambiate criptovalute al mondo ha superato i 100mila dollari (circa 95mila euro) raggiungendo il valore più alto della sua storia. Un traguardo raggiunto dopo mesi di rialzo in previsione dell'elezione di Donald Trump, che ha promesso una regolamentazione più favorevole. Subito dopo la vittoria del tycoon alle presidenziali Usa infatti, il prezzo del bitcoin è cresciuto di circa il 50%, raddoppiando rispetto all'inizio dell'anno. Una crescita più che significativa rafforzata dalla nomina del nuovo presidente della SEC (la Securities and Exchange Commission, l’istituzione che regola e vigila il funzionamento dei mercati finanziari): la scelta di Trump è ricaduta su Paul Atkins, già presidente SEC nel periodo 2002-2008 e conosciuto per le sue posizioni favorevoli alle criptovalute. Del resto, il presidente eletto era stato chiaro nel corso della sua campagna elettorale: tra i suoi propositi rientrava quello di mettere fine alla "crociata anticripto di Joe Biden e Kamala Harris", trasformare gli Stati Uniti in una "superpotenza dei bitcoin" e detassarne i guadagni. E dal momento i Repubblicani hanno ottenuto il controllo di entrambe le camere del Congresso, dare seguito alle promesse sarà molto più facile per Trump.
Dopo anni in cui le criptovalute sono state trattate con diffidenza dalle istituzioni che si occupano di regolamentazione e vigilanza finanziaria, i donatori - che tanto hanno investito nella rielezione del tycoon - si aspettano una regolamentazione più favorevole.
Con la fine del 2024 diversi bonus e agevolazioni fiscali scompariranno, mentre altri incentivi sono già stati confermati anche per il 2025. La nuova legge di Bilancio prevede che il superbonus continui a essere depotenziato, come già accaduto nel corso dell'anno: l'aliquotà passerà infatti dal 70 al 65%. Tagli anche per l’Ecobonus che scenderà al 50% per la prima casa e al 36% per altri immobili. Inoltre, la direttiva Case green sta rendendo sempre più verosimile l’esclusione da tutti i bonus edilizi delle caldaie alimentate da combustibili fossili.
Il 2024 ha incoronato Nvidia regina della Borsa. Il titolo è volato del 200% in un anno grazie all'intelligenza artificiale, superando per la prima volta Microsoft e Apple in capitalizzazione di mercato, ossia la somma del valore di tutte le sue azioni in circolazione, raggiungendo il valore di 3.300 miliardi di dollari. Il successo di Nvidia, rapido ed eccezionale, è stato attribuito soprattutto alla scelta strategica di ampliare le sue attività. Fino a qualche anno fa infatti l'azienda statunitense con sede a Santa Clara, California, era nota soprattutto per la produzione di schede grafiche, cioè le schede elettroniche che elaborano i segnali video nei personal computer. Prodotti destinati al settore dei videogiochi, negli ultimi tempi utilizzati anche per lo sviluppo di sistemi di intelligenza artificiale. Così Nvidia ha deciso di investire nell'AI, intravedendo la possibilità di conquistare un settore ancor più redditizio. Un sistema completo per le AI di Nvidia può arrivare a costare 20mila dollari e ne servono migliaia per costruire centri dati dedicati ai software per l’intelligenza artificiale. La scommessa è stata ripagata dai risultati: attualmente Nvidia ha clienti come Alphabet e Amazon, che stanno provando a sviluppare propri processori per le AI, ma che al momento devono comunque fare affidamento su altri fornitori. E la concorrenza fatica a tenere il passo.