L'approfondimento settimanale, realizzato in collaborazione con il Parlamento europeo, è andato in onda martedì 6 aprile. Ospiti del dodicesimo appuntamento Carlo Calenda, Serena Giacomin e Giulio Terzi di Sant'Agata
Il clima è oggetto di discussione da decenni. In particolare, prima della pandemia, la questione era uno degli argomenti al centro del dibattito internazionale. Basti pensare che il Green Deal europeo è sempre stato uno dei cavalli di battaglia di Ursula von der Leyen e ora è considerato una strategia imprescindibile per rilanciare l'economia degli Stati membri nell’epoca di post-Covid. Un passaggio, tuttavia, non semplice: inquinare di meno non è sempre facile e richiede sacrifici. come, dunque, si stanno comportando l'Unione europea e il resto del mondo in materia di cambiamenti climatici e inquinamento? Ne abbiamo parlato a "Fatti e Misfatti d’Europa", il programma di Tgcom24 realizzato in collaborazione con il Parlamento europeo. Ospiti del dodicesimo appuntamento Carlo Calenda, eurodeputato e leader di Azione, Serena Giacomin, presidente della Italian Climate Network, e l'ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata.
Gli accordi internazionali - Il primo trattato internazionale è stato stipulato a Rio de Janeiro nel 1992, ma non aveva carattere vincolante e non imponeva limiti obbligatori. Il secondo trattato, il protocollo di Kyoto è entrato in vigore nel 2005. E’ stato il primo trattato internazionale che ha imposto l’obbligo di riduzione delle emissioni ai Paesi più sviluppati, con i firmatari che avevano accettato la riduzione del 5% tra il 2008 e il 2012 e con l’Ue che invece aveva fissato l’obiettivo all’8%. Il secondo periodo di adempimento del protocollo riguardava gli anni dal 2013 al 2020. I Paesi firmatari si erano impegnati a ridurre le emissioni del 18% e anche in questo caso l’Ue si era impegnata con un sforzo ulteriore: al 20%. Ma questi accordi presentavano già alcune falle: gli Stati Uniti per esempio non avevano aderito al trattato.
A partire dal 2020 è entrato in vigore l’attuale accordo di Parigi, firmato nel 2015. L’obiettivo è quello di contenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto della soglia di 2 gradi centigradi oltre i livelli preindustriali e di limitare tale incremento a 1,5 gradi centigradi. A 5 anni di distanza dalla ratifica, la comunità scientifica ha evidenziato come i leader mondiali non stiano mantenendo gli impegni presi. I dati forniti da Climate Action Tracker, aggiornati lo scorso dicembre, ne sono una prova. La condotta attuale dei singoli Stati europei è ritenuta insufficiente e nello scorso dicembre i leader dei 27 hanno trovato un’ulteriore intesa per ridurre le emissioni del 55% entro il 2030.
Ue, Cina e Stati Uniti - La condotta degli Stati Uniti che dopo l’elezione di Trump erano usciti dagli accordi di Parigi per poi rientrarci in seguito alla vittoria di Biden è ritenuta invece gravemente insufficiente, al pari della Russia. La Cina è il Paese che produce circa un quarto dei gas serra del mondo, più di tutti. Il presidente Xi Jinping ha annunciato che intende raggiungere l’obiettivo emissioni zero entro il 2060 con il picco di emissioni di gas serra che si verificherà entro il prossimo decennio. Quindi fino al 2030 la Cina non dovrebbe ridurre le emissioni e anche per questo la sua condotta è ritenuta altamente insufficiente. Ora si guarda al prossimo novembre. A Glasgow infatti è prevista la conferenza delle Nazioni Uniti sui cambiamenti climatici a presidenza anglo-italiana. L’Europa riuscirà a imporre uno sforzo maggiore a Cina e Stati Uniti?
“La corsa è la stessa che si è creata dagli Anni 70-90 dal punto di vista dello spazio. Una corsa fortissima che ha impegnato capitali giganteschi e sui quali si è giocato il presente e si gioca il futuro dalle telecomunicazioni e della sicurezza globale. La corsa che è in atto è quella di eliminare le emissioni inquinanti per l’atmosfera, CO2 essenzialmente, entro il 2050. L’obiettivo è poi per l’Ue è del 55% entro il 2030. La posizione americana si è rovesciata rispetto alla presidenza Trump. Adesso abbiamo un’America che punta alla riduzione del 26-28% entro il 2025. Un impegno molto significativo, bisogna vedere se verrà confermato a Glasgow, ma il team di Biden per la lotta ai cambiamenti climatici è il punto di forza di questa amministrazione. La Cina sta dall’altra parte. L’amministrazione Xi Jinping è stata da subito riottosa a impegnarsi con sforzo e con vigore per arrivare all’obiettivo di neutralità climatica. Vuol procedere a rilento, nonostante le grandi risorse della Cina”, spiega Terzi di Sant'Agata.
La situazione in Italia - Il 37% dei fondi del Next Generation Eu dovranno essere dedicati al clima. L’Italia riuscirà a presentare un Recovery plan all’altezza? Secondo Calenda si tratta di “una questione molto complessa perché non solo è necessario costruire un piano che metta insieme tutte le priorità sociali ed economiche ma che deve avere anche un effetto ulteriore, ossia quello di raggiungere l’obiettivo finale della neutralità climatica. E’ un lavoro indispensabile e anche un’opportunità perché le economie mature crescono quando si migliorano gli standard. L’aumento degli standard, infatti, porta a un consumo più sostenibile e consapevole. Per l’Italia è molto sfidante”.
E per quanto riguarda l’istituzione del ministero per la Transizione ecologica in Italia, il leader di Azione dice: “Come il digitale, la transizione ecologica tocca tutti i ministeri. Il rischio che vedo è che venga confinato. Un piano sulla sostenibilità, che non è solo ambientale ma anche sociale, coinvolge tutti i ministeri. L’indirizzo deve quindi venire fortemente da Palazzo Chigi”.
I numeri dell’inquinamento europeo e mondiale - Parlando di emissioni di CO2, dal 1990 al 2019, Stati Uniti e Unione europea hanno avuto un andamento costante con una flessione negli ultimi 10 anni. La Cina, invece, ha registrato un’impennata di emissioni. Tra i Paesi più inquinanti anche India, Indonesia, Australia, Russia.
Come i singoli settori inquinano l’ambiente? - Il settore dell’energia - che include l’elettricità, il riscaldamento e i trasporti - emette gas effetto serra per oltre il 73,2%, seguito poi dall’agricoltura e dallo sfruttamento dei terreni (18,4%), dai processi industriali diretti (5,2%) e dal trattamento dei rifiuti (3,2%). Entrando nello specifico, i trasporti hanno una fetta importante nel settore energetico in quanto a emissioni (il 16,2%), ma non sono soli. Vanno considerate anche l’energia utilizzata in ambito industriale (24,2%) e quella negli edifici (17,5%).
Gas inquinanti e climalteranti - “Il periodo del lockdown ci ha dato la possibilità di analizzare bene alcuni dati, però per comprendere in maniera adeguata quello che è successo dobbiamo iniziare da una distinzione: gas inquinanti e climalteranti - spiega Giacomin -. Se andiamo a guardare le concentrazioni di gas inquinanti in atmosfera - gli ossidi di azoto piuttosto che le polveri sottili - durante il lockdown abbiamo osservato una netta riduzione, soprattutto degli ossidi di azoto. Quindi abbiamo visto un netto miglioramento della qualità dell’aria e una netta riduzione dei gas inquinanti in atmosfera, soprattutto per quanto riguarda la riduzione del traffico veicolare. Per quanto riguarda i gas climalteranti, invece, cioè i gas serra che hanno la capacità di reagire con le radiazioni elettromagnetiche del sole andando a catturare calore, quindi portando l’atmosfera a una temperatura più elevata, abbiamo avuto una riduzione in questi mesi ma non è una riduzione sostanziale. Anche perché è opportuno sottolineare che l’anidride carbonica, che è il gas serra che più conosciamo, è un gas che tendenzialmente permane in atmosfera anche 100-200 anni. Questo significa che se domani andiamo a ridurre a zero le emissioni di gas climalteranti facciamo una cosa certamente positiva, ma nel frattempo, però, vivremmo molti anni l’eredità emissiva dei decenni passati. Questo ci deve insegnare che è necessario agire subito”.
La carbon border tax - Il Parlamento europeo ha raggiunto un accordo per introdurre nuove fonti di finanziamento per il bilancio dell’Ue. Nuove risorse che dovrebbero provenire da un lato dai ricavi del sistema di scambio delle quote di emissioni e dall’altro dal Meccanismo di aggiustamento del carbonio alla frontiera. Quest’ultimo prevede l’introduzione della carbon border tax, una tassa per coloro che importano dentro l’Ue prodotti realizzati in filiere ad alta emissione di CO2 e in Paesi meno attenti al tema climatico. L’obiettivo è quello di rendere più green le importazioni europee e di evitare il dumping ambientale, ovvero il trasferimento delle aziende europee in Paesi con meno vincoli di carattere ambientale. Al momento la tassa è al vaglio della Commissione europea e dovrebbe entrare in vigore intorno al 2023. La Commissione sta cercando di capire in quali settori applicarla.