0.1%: è la percentuale di aumento del Pil che si registrerebbe per ogni riduzione dell’1% nel divario retributivo di genere
Attenzione a questa cifra percentuale: 37%. Indica la differenza di guadagno complessivo tra uomini e donne in Ue. 14,1% è invece la percentuale di quanto guadagnano in media in meno all'ora le donne rispetto agli uomini. Numeri che fanno riflettere e che alzano il sipario su un interrogativo importante: come fare a colmare questo divario retributivo che si porta appresso ripercussioni economiche notevoli? A questo riguardo, nel gennaio 2021 il Parlamento Ue ha adottato una risoluzione in cui campeggia un obiettivo chiaro e circoscritto: ridurre la disparità salariale entro il 2027.
Due parole sul divario retributivo di genere - Si tratta della differenza tra i compensi orari lordi di uomini e donne e si basa sugli stipendi versati dunque direttamente ai dipendenti prima delle detrazioni fiscali e dei contributi previdenziali. Nei calcoli vengono prese in considerazione soltanto le aziende con dieci o più dipendenti.
14,1% - E' la percentuale che indica il divario retributivo di genere nell’Ue registrato nel 2019. Ebbene: le donne lavoratrici nell’Ue guadagnano in media il 14% in meno all’ora rispetto agli uomini.
Come si arriva al calcolo del divario retributivo di genere corretto - Alcune cause del divario sono “strutturali”, ovvero legate alla differenza di occupazione, al livello di istruzione e all’esperienza lavorativa. Tolte queste voci, quello che rimane è il divario retributivo di genere corretto.
Uno sguardo più da vicino – Diamo allora un’occhiata alle percentuali relative al divario retributivo registrato nei Paesi europei nel 2019 in ordine decrescente:
Estonia (21,7%)
Lettonia (21,2%)
Austria (19,9%)
Germania (19,2%)
Repubblica Ceca (18,9%)
Slovacchia (18,4%)
Ungheria (18,2%)
Polonia (8,5%)
Slovenia (7,9%)
Belgio (5,8%)
Italia (4,4%)
Romania (3,3%)
Lussemburgo (1,3%)
Oltre le statistiche - I numeri spesso non riflettono però appieno le situazioni reali. Infatti, a un minore divario retributivo di genere in un Paese specifico non corrisponde automaticamente una maggiore eguaglianza di genere. Esistono infatti diverse situazioni in cui divari retributivi più bassi corrispondono a una effettiva partecipazione minore delle donne al mercato del lavoro. Al contempo percentuali più alte potrebbero rimandare a un elevato numero di donne che svolgono un lavoro part-time o magari alla loro concentrazione in un numero ristretto di professioni.
Quali sono le cause del divario retributivo? - In primis bisogna partire da un dato di fatto: le donne svolgono più ore di lavoro non retribuito rispetto agli uomini (si va - secondo dati raccolti nel 2015 - da un minimo di 6/8 ore a settimana nel nord Europa, a un massimo pari a oltre le 15 ore in paesi come Italia, Croazia, Slovenia e Austria). Esempi di lavoro non retribuito: l’accudire i propri figli e occuparsi dei lavori domestici. Tutto ciò si traduce chiaramente in una minore disponibilità oraria per svolgere lavoro retribuito. Secondo i dati raccolti nel 2018, quasi un terzo delle donne (ovvero il 30%) lavora part-time, contro solo l’8% degli uomini.
Scorriamo allora velocemente le altre situazioni che determinano le cause del divario retributivo:
- le donne sono più propense degli uomini ad avere interruzioni di carriera e a basare le scelte fatte in ambito professionale sulla cura e le responsabilità familiari;
- il 30% del divario retributivo totale di genere può essere spiegato con una sovrarappresentanza di donne in settori a basso salario come l’assistenza, le vendite e l’istruzione, mentre al contrario alcuni settori legati alla tecnologia, alla scienza e all’ingegneria vedono una percentuale di uomini impiegati altissima (più dell’80%);
-meno del 10% degli amministratori delegati delle principali aziende è donna: ciò significa che la stragrande maggioranza delle donne non occupa posizioni dirigenziali. Tra le dirigenti invece, regna una forte sproporzione rispetto agli uomini con gli stessi incarichi: guadagnano infatti il 23% in meno all’ora;
- le donne continuano a essere vittime di una vera e propria discriminazione sul luogo di lavoro: sono retribuite meno dei colleghi di sesso maschile che hanno le stesse qualifiche e spesso subiscono una retrocessione al ritorno dal congedo di maternità.
Tutte le voci elencate conducono a una percentuale piuttosto alta: il 37%. Secondo i dati raccolti nel 2018, è la percentuale che indica la differenza di guadagno complessivo tra uomini e donne.
Una questione di giustizia - E’ quella annidata nella lotta per la parità di retribuzione e dunque per ridurre il divario salariale tra i sessi. Ma non si tratta soltanto di un obiettivo ideale o di una questione di principio. La riduzione (e perché no, l’eliminazione) del gap salariale tra uomini e donne favorirebbe la diminuzione della povertà e la crescita dell’economia: le donne infatti spenderebbero di più, aumenterebbe la base imponibile e vi sarebbe un alleggerimento dell’onere gravante sui sistemi previdenziali. Senza contare i problemi in meno che si registrerebbero sul lungo termine: è noto infatti che il divario retributivo tra i sessi è direttamente proporzionale all’età che avanza, rimanendo dunque piuttosto basso quando le donne entrano nel mercato del lavoro. Ciò significa che con meno denaro da risparmiare e da investire, i divari accrescono e le donne rischiano di essere pericolosamente esposte al rischio di povertà e di esclusione sociale in età avanzata. Basti considerare che nel 2019 il divario pensionistico di genere registrato in Ue era pari al 29%.
0.1% - E’ la percentuale di aumento del Pil che si registrerebbe per ogni riduzione dell’1% nel divario retributivo di genere.
Le proposte del Parlamento Ue - Nel gennaio del 2021 il Parlamento Ue ha adottato la risoluzione sulla strategia dell’Ue per la parità di genere, chiedendo alla Commissione di redigere un nuovo ambizioso piano d’azione per contrastare il divario retributivo di genere all’insegna di obiettivi chiari e circoscritti. Tra i più importanti: ridurre la disparità salariale di genere entro il 2026. Inoltre, il Parlamento raccomanda di rendere più agevole l'accesso per le donne e le ragazze in aree di studio e lavoro a predominanza maschile, favorire la flessibilità dell'orario di lavoro e migliorare i salari e le condizioni di lavoro in settori fortemente dominati dalle donne.