L'approfondimento settimanale, realizzato in collaborazione con il Parlamento europeo, è andato in onda martedì 25 maggio. Ospiti del diciannovesimo appuntamento Matteo Villa, Teresa Jiménez-Becerril Barrio e Alfred Sant
Per anni la questione dei migranti è stata al centro dell’agenda politica europea nonché delle preoccupazioni dei cittadini e dei governi. Con l’arrivo della pandemia, nel 2020, l’attenzione è stata spostata altrove, ma quanto accaduto nelle ultime settimane ci ha portato di nuovo a guardare al Mediterraneo. Basta vedere quello che è avvenuto a Ceuta, considerata una porta di accesso all’Europa, dove sono arrivate migliaia di persone dal Marocco. A Bruxelles, dunque, si è tornato a parlare di come gestire non solo i flussi migratori, ma anche la geopolitica che li riguarda, di come affrontare insomma l’uso politico che gli Stati fanno dei migranti, considerati merce di scambio, armi di minaccia e ricatto da parte dei Paesi di transito per fare delle richieste all’Unione europea. Ne abbiamo parlato a "Fatti e Misfatti d’Europa", il programma di Tgcom24 realizzato in collaborazione con il Parlamento europeo. Ospiti del diciannovesimo appuntamento Matteo Villa, analista dell’Ispi, Teresa Jiménez-Becerril Barrio, deputato nazionale Partito Popolare Spagna, e Alfred Sant, eurodeputato S&D.
Le geopolitica dei migranti - “Il primo vero tema è bloccare le partenze irregolari. L’Europa trova un consenso quasi soltanto su questo, quindi l’Italia rimane sola a gestire i flussi che arrivano. Di conseguenza, siamo costretti ad andare a trattare con i Paesi terzi, che sono responsabili delle partenze. C’è da dire che fino alla Libia, tutti i Paesi con cui avevamo trattato negli anni precedenti si sono comportati in maniera addirittura sorprendente, nel senso che non stanno facendo passare molte persone. In Libia, però, più o meno un decimo, 50/70mila persone, del mezzo milione di stranieri che lavora lì da sempre, potrebbe voler arrivare verso l’Europa. Quindi siamo un po’ nelle mani di quei Paesi terzi a cui chiediamo di fare qualcosa per bloccare le migrazioni. Col Marocco cos’è successo? Otto mila persone sono arrivate direttamente in un’enclave spagnolo finché poi sono state rimpatriate per uno sgarro e lo stesso potrebbe accadere sulla rotta che porta all’Italia nel momento in cui le milizie libiche che si occupano di traffici vogliono dare un segnale”, spiega Villa.
Il ruolo della Turchia - Proprio Libia, dilaniata da anni di guerra civile, strizza l’occhio a un nuovo partner. Si tratta della Turchia, oggi uno dei maggiori alleati militari del governo di unità nazionale. Un sodalizio che permette a Erdogan di controllare sia la Guardia costiera libica sia avamposti strategici come il porto di Misurata. In attesa di una soluzione condivisa da parte dell’Ue, che nei prossimi mesi vedrà e Germania e Francia andare al voto, le relazioni con Ankara si sfaldano e gli sbarchi aumentano.
Ue-Turchia, 5 anni dopo l’accordo - Nel 2016, Turchia e Ue hanno siglato un accordo, che rappresenta la risposta più efficace data a livello comunitario verso l’eccezionale ondata migratoria che tra il 2014 e il 2015 ha visto centinaia di migliaia di profughi attraversare lungo la cosiddetta rotta balcanica. Accordo che, però, di fatto ha esternalizzato le frontiere a un Paese terzo. Obiettivo: ridurre l’immigrazione verso la Grecia. La Turchia si è impegnata a riammettere un migrante irregolare giunto e respinto dalle coste greche per ogni profugo siriano accolto in Ue. Oltre a garantire la protezione dei migranti in base agli standard internazionali. L’Ue, invece, ha messo sul piatto 6 miliardi di euro e il processo di velocizzazione dei visti per quei cittadini turchi in ingresso in Ue.
La Turchia è anche protagonista di un altro accordo, questa volta con la Libia: è il Memorandum d’intesa tra Ankara e il governo di unità nazionale di Al-Sarraj, siglato nel novembre del 2019 e rinnovato nell’aprile 2021, che impegna la Libia ad avere supporto militare da parte della Turchia.
“L’Europa con la Turchia se l’è giocata relativamente bene - dichiara Villa -. E’ vero che l’Ue ha pagato un prezzo, 6 miliardi di euro, che non è poco, affinché la Turchia iniziasse a collaborare. In realtà, alla fine quei soldi non sono andati tutti al governo turco, o almeno così sembra, ma in buona parte sono stati spesi veramente per aiutare i rifugiati siriani nel Paese. Il problema non sono solo i soldi, quanto che ogni volta mettiamo in mano a qualcuno di terzo il controllo e la gestione dei flussi migratori. E Erdogan lo sa benissimo, non a caso ogni tanto torna a minacciare di riaprire le frontiere. Sa di poter continuare a controllare e in parte a negoziare da una posizione un po’ più forte con l’Ue. Sa che l’arma dei migranti rimane in mano a lui e quest’estate lo vedremo benissimo”.
Il caso Ceuta - La Spagna, per uno sgarbo al Marocco, si è trovata a gestire una crisi senza precedenti nell’enclave di Ceuta. “Mai come questa volta il Marocco ha aperto le frontiere - afferma Jiménez, in collegamento dalla Spagna - Non ha fatto una bella figura utilizzando il suo popolo - anche ragazzi, bambini - per dare un segnale alla Spagna in seguito alla decisione di quest’ultima di accogliere per cure mediche un leader del Fronte Polisario. Mossa che, secondo me, doveva essere organizzata in un altro modo dal governo spagnolo. Quindi, è stato un fallimento diplomatico scandaloso, per non parlare poi di quello che abbiamo rischiato e che stiamo rischiando".
Ricollocamenti dei migranti - Malta come l’Italia è al centro dell’emergenza migratoria. “Il sistema dei ricollocamenti è fallimentare - sottolinea Sant, in collegamento da Malta -. Il vero problema è che l’Ue non ha la volontà di avere una politica di immigrazione europea. E’ chiaro che il problema dell’immigrazione sia un problema europeo, ma serve una politica integrata, coerente e che finalmente stabilisca le priorità. Se questa viene a mancare, è chiaro che si ricorra ad accordi bilaterali o multilaterali”.
“Credo sia importantissimo che si arrivi a delle soluzioni europee. L’anno scorso, la Commissione ha lanciato il Patto sull’immigrazione, che però è lettera morta. Se i Paesi non si mettono d’accordo, affronteranno sempre crisi diplomatiche. Dobbiamo fare qualcosa affinché non si usi la popolazione civile come arma di ricatto, di pressione, di guerra”, dice Jiménez. “Dobbiamo abituarci che su questo non si lavora bene in Europa e fare pressione per i flussi regolari, cioè tutta la parte di flussi economici che di fatto non stiamo regolamentando”, conclude Villa.