Identità Golose, torna la tre giorni dedicata agli chef e ai maestri dell’ospitalità italiana e internazionale
© Ufficio stampa
© Ufficio stampa
La fuga del personale, i "no show" e la formazione dei giovani cuochi: l'analisi dello chef uruguaiano sul futuro della ristorazione
© Ufficio stampa
In principio fu Contraste, insieme a Simon Press e Thomas Piras. Poi sono arrivati Exit, Empanadas del Flaco, Roc, Exit Pastificio, Abere. Matias Perdomo, tra i protagonisti di Identità Golose, racconta come vede il futuro della ristorazione, partendo dai temi di oggi e dalla questione al centro della tre giorni che si apre sabato 25 settembre a Milano: il lavoro.
Secondo Perdomo, la fuga di personale non è da attribuire a un minor numero di giovani che vuole entrare in cucina. "Penso che, per tanti di loro le attese non sono confermate dai fatti - spiega alla redazione di Identità Golose -. Principalmente perché la tv fa vedere loro il traguardo, non il percorso da fare per raggiungerlo. I ragazzi escono dalla scuola a 18 anni e a 23 pretendono di essere chef". Come fare, quindi? "Partendo dal principio. Negli ultimi anni hanno aperto quasi più scuole di cucina che ristoranti. Chiedono soldi a ragazzi indecisi e poi li mandano subito a lavorare negli stellati dei loro desideri. Noi, ultimo anello della catena, siamo obbligati a prendere stagisti alle prime armi".
© Ufficio stampa
© Ufficio stampa
"Dobbiamo smetterla di dare un’immagine edulcorata del mestiere, di creare illusioni. La ristorazione non è un hobby", sottolinea lo chef uruguaiano sposando il focus sulla visione imprenditoriale. "Ci concentriamo sempre su falsi problemi ma perdiamo di vista quello principale: che un ristorante è un’azienda a tutti gli effetti. Occorre equilibrio tra sostenibilità delle persone e sostenibilità di un progetto. La prima si avvera se c'è la seconda".
I conti, quindi, da tenere in ordine per consentire all'azienda di funzionare nonostante le variabili che complicano la gestione. "Siamo in balia del meteo: se piove, molti devono togliere il 50% dei coperti, senza indennizzi. Siamo in balia dei no show, che possono ridurre gli incassi di una serata anche del 20%. Perché, se vuoi assistere a una partita di calcio o a un concerto sei disposto a spendere 50 o 100 euro un mese e mezzo prima dell’evento e coi ristoranti no? Eppure noi compriamo la materia prima, cuciniamo, facciamo la mise-en-place e poi preghiamo che si riempia il ristorante".
"Occorre una rivoluzione di fondo: cominciare a considerare i ristoranti non più luoghi di folklore familiare come poteva magari essere negli anni Ottanta, ma vere e proprie aziende che danno da mangiare a decine e decine di famiglie, fornitori inclusi - conclude Perdomo -. Io quando non incasso, non dormo la notte. Che mi frega di fare un piatto creativo con l’aria di rosmarino se il cassetto è vuoto? L’unica creatività che conta è quella che ti aiuta a tenere i conti in ordine e oggi sono tanti quelli che non ci riescono".