Un coreano fatto prigioniero da tutti gli eserciti in guerra, concorsi fotografici falsi per raccogliere informazioni ed eserciti finti per ingannare il nemico: il D-Day è stato anche questo
di Maurizio Perriello© Afp
Sul D-Day è stato detto davvero di tutto. Tutto sull'importanza dell'operazione, sui numeri, sui retroscena, sulle premesse e sulle conseguenze. Eppure, a 80 anni di distanza dalla grande operazione che decise l'esito della Seconda Guerra Mondiale e il futuro del mondo, il racconto dello Sbarco in Normandia cerca ancora di aggiungere una pennellata, un colore in più a quel tragico grande spettacolo che il nostro immaginario dipinge in bianco e nero. Nel marasma dell'Operazione Overlord, la più massiccia per mobilitazione di risorse e mezzi da parte di più nazioni, si possono pescare curiosità e dettagli che ne restituiscono la grandezza e insieme la "semplicità artigianale", quasi ingenua, che ha portato gli eserciti a escogitare diversivi decisamente originali. Allo stesso modo, le storie di alcuni protagonisti suggeriscono l'enorme sconvolgimento che il D-Day, e in generale la Seconda Guerra Mondiale, produsse in ogni parte del globo. Come nessun altro conflitto finora, nonostante la guerra mondiale a pezzi che stiamo vivendo.
Un dato su tutti per sottolineare la distanza tra quel modo di fare la guerra e quello odierno, segnato in maniera irreversibile dalla deterrenza nucleare: in una singola operazione avvenuta in un solo giorno, gli Stati Uniti utilizzarono circa due terzi di tutti gli aerei che attualmente compongono la forza di attacco della Us Navy, che conta circa 650 jet tra F18 Hornet e Superhornet. Nello spazio limitato di cinque spiagge francesi, il 6 giugno 1944 sbarcarono oltre 132mila soldati, mentre il mare della Manica era coperto da quasi 6.500 navi. Una traversata di circa 17 ore. Si calcola poi che, durante la preparazione e l'esecuzione del D-Day, furono disegnate circa 17 milioni di mappe. Al di là dei numeri e dei prodigi della tecnologia bellica, il D-Day è stato però anche un segnalibro sgualcito, per paura o per calcolo, da grandi e piccoli protagonisti della storia. Un calderone di storie sotterranee che, a 80 anni di distanza, ci fanno sentire più vicini a quell'umanità che in Normandia vide il Novecento cambiare in un giorno. Un giorno fortemente voluto e scelto dai pianificatori, che volevano la luna piena e una marea primaverile. Il piano era quello di atterrare all'alba durante la piena, quando la marea era circa a metà. Ciò significava che c'erano solo pochi giorni adatti. Fu scelto il 5 giugno ma dovette essere posticipato di 24 ore a causa del maltempo.
Cominciamo con la curiosità forse più nota. L'espressione "D-Day" indica esattamente ciò che significa: "giorno", cioè il giorno stabilito per un'operazione. Nel gergo militare anglosassone, si tratta dunque di un termine generico per definire l'incipit di una missione militare, utilizzato anche prima del 6 giugno 1944. Allo stesso modo "H-Hour" indica l'ora di inizio dell'operazione, anche quando non è stata ancora stabilita. Secondo il Centro di Storia Militare, il primo utilizzo di questi termini da parte dell'esercito statunitense risale alla Prima Guerra Mondiale. Nell'Ordine di Campo numero 9 del I Corpo d'armata, Forza di Spedizione Americana, datato 7 settembre 1918 si legge infatti: "Il I Corpo d'armata attaccherà all'ora H del giorno D con l'obiettivo di forzare l'evacuazione del saliente di St. Mihiel". Dopo lo Sbarco in Normandia, l'espressione "D-Day" assunse un significato univoco, sostituendo l'iniziale nome Neptune, parte della più grande Operazione Overlord. Tutte le informazioni relative alla missione furono contrassegnate con "Bigot", una classificazione ancora più segreta di "Top Secret". Le altre ipotesi secondo cui D-Day significherebbe invece "Decision Day" (il giorno della decisione), o "Deliverance Day" (il giorno della liberazione) sono sostanzialmente fuorvianti.
Il successo dello sbarco è dipeso anche dalle efficaci operazioni di depistaggio e controspionaggio, in particolari da quelle che hanno sviato i sospetti sul luogo esatto. Questo filone di preparazione al D-Day fu talmente importante da meritare un nome a parte: Operazione Fortitude, a sua volta suddivisa in due filoni. Il filone Nord, poi chiamato Operazione Skye, aveva lo scopo di far credere alle forze naziste che gli alleati si stavano preparando a sfondare sulle coste della Norvegia. Il filone Sud, invece, prospettava lo stesso scenario ma per uno sbarco a Calais, l'approdo francese più vicino alle coste inglesi. Per rendere credibile la falsa pista, gli americani misero in campo un esercito finto: il Fusag (First United States Army Group), affidato però a un comandante vero, il generale George Patton, che i tedeschi consideravano il miglior generale alleato. Il tutto nel Kent, nel sud-est dell'Inghilterra. L'operazione comportò uno sforzo non da poco, con la predisposizione di carri armati gonfiabili e aerei di legno, che riuscirono a ingannare i ricognitori tedeschi. Risultato: i nazisti schierarono a Calais 18 divisioni di uomini, togliendole in maniera decisiva al contingente che avrebbe invece combattuto in Normandia. "Abboccarono" così tanto all'amo alleato che, anche dopo il D-Day, mantennero molte delle loro migliori truppe nell'area di Calais in attesa di una seconda invasione. Una menzione finale per l’intelligence britannica, che aveva creato una rete di falsi agenti che alimentavano la disinformazione tedesca. I tedeschi pagavano bene, senza però sapere che i soldi finivano direttamente nelle casse di Sua Maestà per finanziare lo sforzo bellico.
Vale la pena spendere qualche parola in più sul progetto nazista del Vallo Atlantico, cioè la linea di fortificazioni costruite tra il 1940 e il 1944 lungo le coste dell'Europa nord-occidentale, dalla Norvegia alla Francia. I lavori videro l'impiego di oltre 260mila lavoratori, di cui solo il 10% era di nazionalità tedesca. A circa metà progetto, nel 1942, Adolf Hitler sapeva che un'invasione alleata su larga scala della Francia avrebbe modificato le sorti della guerra. Per questo il Terzo Reich intensificò la costruzione in Francia di una rete di 2.400 miglia di bunker, fortini, mine e ostacoli allo sbarco. Il programma andava però oltre le possibilità fisiche ed economiche tedesche, anche perché Hitler voleva che 15mila punti di forza fossero presidiati da 300mila soldati.Al posto di una linea di difesa continua, i nazisti si concentrarono così sui porti consolidati. In particolare Calais, dove gli occupanti installarono tre enormi batterie di cannoni, lasciando più scoperte le postazioni costiere in Normandia. Un altro fattore che contribuì al successo alleato riguarda il fatto che Hitler non assecondò i propositi del suo feldmaresciallo Erwin Rommel, il quale voleva schierare le divisioni corazzate Panzer proprio dove sarebbe avvenuto lo sbarco. L'intera storia dell'operazione e della guerra sarebbe cambiata radicalmente.
Com'è noto, il D-Day era stato originariamente previsto per il 5 giugno, salvo poi essere ritardato di 24 ore a causa del maltempo. Questo perché i meteorologi inglesi commisero inizialmente un enorme errore di valutazione, ipotizzando una finestra di tregua climatica tra la tempesta del 5 giugno e quella successiva. Tregua che però non ci fu, rischiando di far fallire l'intera missione alleata. A quel punto intervenne la buona sorte: i venti si fecero meno forti, consentendo le operazioni di sbarco. Le previsioni erano così brutte che anche da parte nazista ci fu un dietrofront. Viste le pessime condizioni meteo, che i tedeschi avevano centrato correttamente, si valutò di far rientrare nelle retrovie la maggior parte delle unità, pensando che un eventuale intervento dei nemici sarebbe giunto non prima di due settimane. Il comandante in capo Rommel tornò addirittura a casa per regalare a sua moglie un paio di scarpe nel giorno del suo compleanno. E lì si trovava quando arrivò la notizia dello sbarco alleato.
Per pianificare l'operazione, la Bbc indisse un concorso fotografico sulle mete migliori per le vacanze al mare dei francesi. In realtà era un modo per raccogliere informazioni su spiagge adatte allo sbarco anfibio alleato. Allo stesso scopo, la Corona britannica inviò ingegneri su sottomarini nani per condurre valutazioni segrete dei lidi, inclusa la raccolta di campioni di sabbia. Restando invece in ambito fotografico, il grande reporter di guerra Robert Capa realizzò 106 scatti sullo sbarco a Omaha Beach, che avrebbero ispirato anche Steven Spielberg per il suo "Salvate il soldato Ryan". Quasi tutti i negativi andarono però perduti a causa dell'errore di un tecnico in fase di sviluppo dei rullini, a Londra. Sono così rimasti soltanto 11 foto, chiamate per l'appunto i "Magnificent Eleven", non si sa se volutamente o accidentalmente sfocati (guarda). Capa in seguito affermò che la sfocatura fu una scelta voluta.
Il prigioniero meno tedesco catturato dagli alleati in Normandia fu Yang Kyoungjong. Si tratta di un coreano che era stato arruolato a 18 anni dall'esercito giapponese nel 1938. L'anno seguente fu catturato dai sovietici, che lo costrinsero a combattere contro i tedeschi quando furono invasi durante l'Operazione Barbarossa. Yang fu quindi catturato e a sua volta arruolato dai nazisti nel 1943. Inviato a combattere in Normandia, fu infine catturato dagli americani durante il D-day. Si trasferì poi nell'Illinois, dove morì nel 1992.
Un altro grande contributo al depistaggio alleato contro i tedeschi fu offerto dal cosiddetto "Device, Camouflage, No. 15", meglio noto come "Rupert". Si trattava di un fantoccio di pezza imbottito di sabbie e paglia e dalla forma umana, con braccia e gambe, alto circa un metro. Il giorno del D-Day furono lanciati in diversi punti della costa con paracadute di dimensioni reali. Alcuni manichini erano perfino dotati di macchinari capaci di emettere suoni forti come spari, urla o esplosioni. Lo scopo era ovviamente quello di attirare il fuoco e l'attenzione dei nazisti su punti diversi da quello dello sbarco. L'inganno riuscì in pieno, visto che da grande distanza e nel mezzo degli scontri per i tedeschi era molto difficile distinguere i "Rupert" dai soldati veri.
I soldati americani guadagnavano circa 12 sterline al mese. Una paga decisamente niente male, soprattutto nell'Inghilterra squassata dalla guerra. Un fante britannico, ad esempio veniva invece pagato 3 sterline e 15 al mese. Di conseguenza, erano molto popolari tra le giovani donne britanniche. Circa 70mila di loro sposarono militari americani durante la guerra, mentre nacquero circa 9mila bambini fuori dal matrimonio da padri statunitensi.
Molti dei nomi in codice usati durante il D-Day furono copiati dalle soluzioni delle parole crociate pubblicate dal quotidiano britannico Daily Telegraph nel mese precedente lo Sbarco in Normandia. Parliamo praticamente di tutte le espressioni entrate nella storia: Juno, Gold, Sword, Utah, Omaha, Overlord, Mulberry (i porti artificiali usati dagli alleati) e Neptune. In un'epoca in cui ognuno veniva percepito come una potenziale spia, l'intelligence britannica mise sotto torchio l'autore dei cruciverba, Leonard Sidney Dawe, senza però trovare responsabilità per la fuga di notizie a favore dei tedeschi.
Per essere sicuro che i suoi uomini non rivelassero nulla a nessuno prima del D-Day, il tenente colonnello inglese Terence Otway incaricò 30 graziose componenti dell'aeronautica ausiliaria femminile, vestiti con abiti civili, nei pub situati nella zona di addestramento dei suoi soldati. Queste donne avevano il compito di fare tutto il possibile per scoprire la missione segreta degli uomini. Nessuno di loro ha però rivelato nulla, con grande soddisfazione di Otway.
John Steele, un paracadutista statunitense arrivato a Sainte-Mère Eglise la notte del 5 giugno, è rimasto impigliato e bloccato sul campanile della chiesa locale. Sotto intanto infuriava la battaglia, in quello che sarebbe stato il primo villaggio a essere liberato dagli americani il 6 giugno. Steele, ferito a una gamba da una granata, fu fatto prigioniero dai tedeschi, ma poi riuscì a fuggire. Per commemorare questa storia, sul lato della chiesa è stato costruito un monumento, un'effigie di Steele, con tanto paracadute.
Alla storia è passato anche Waverly B. Woodson Jr., medico dell'unità combattente afroamericana. Sbarcato per miracolo a Omaha Beach, dopo che i tedeschi avevano fatto saltare in aria il mezzo sul quale era giunto, il giovane di colore non si perse d'animo e allestì una postazione arrangiata di soccorso. Mentre tutt'intorno infuriavano la battaglia e l'orrore, Woodson per oltre 30 ore curò i feriti, rimosse proiettili dai loro corpi, distribuì plasma sanguigno, sistemò le ossa rotte e amputò arti. Per non far mancare nulla al suo racconto leggendario, salvò anche quattro uomini dall'annegamento.
Un'altra figura leggendaria legata al D-Day è quella dello scozzese Bill Millin e della sua cornamusa. Sbarcato a Sword Beach con la sua brigata, Millin ha iniziato a suonare "The Road to the Isles", "Blue bonnets over the border" e "Hieland Laddie" non appena si è tuffato nell'acqua bassa e poi ha camminato su e giù per la spiaggia senza mai smettere di soffiare nel suo strumento. I prigionieri tedeschi in seguito ammisero di non aver tentato di sparargli perché pensavano che fosse impazzito. E pensare che la cornamusa, tradizionalmente usata in battaglia dai soldati scozzesi e irlandesi, era stata autorizzata dall'esercito britannico solo nelle retrovie. Il comandante Lord Lovat ignorò però queste disposizioni e permise a Millin di suonare sul campo di battaglia, mentre i suoi compagni cadevano.
L'aeronautica tedesca, la Luftwaffe, era in inferiorità numerica di 30:1 durante il D-Day e non abbatté un solo aereo alleato in un combattimento aria-aria.
Finiamo coi grandi personaggi. Uno più fervente, l'altro più tormentato. Il primo è il primo ministro britannico Winston Churchill, il secondo il generale Dwight D. Eisenhower, futuro presidente degli Stati Uniti. Entrambi erano consci, già nel 1941, del fatto che soltanto un intervento diretto nell'Europa occupata dai nazisti avrebbe potuto cambiare le sorti della guerra. Churchill non perdeva occasione per esprimere pubblicamente quanto fosse convinto della vittoria finale degli alleati. Nel suo libro The Moon's a Balloon, il celebre attore (e soldato) inglese David Niven racconta di aver chiesto al premier come facesse a esserne così sicuro. "Perché, mio caro, io studio la storia". Era talmente fervente e convinto che tentò di imbarcarsi su una nave militare il giorno precedente, per infondere coraggio e vicinanza ai soldati. Dovettero trattenerlo con la forza per impedirglielo, come dovette intervenire il Re Giorgio VI per convincerlo a non dimettersi qualche tempo prima, quando l'operazione contro i tedeschi minacciava di saltare. Altrettanto risoluto, ma apparentemente più tormentato dal piano militare era invece Eisenhower, che proprio con Churchill ebbe divergenze di vedute sulle tattiche militari da applicare in Normandia. Divergenze talmente profonde che Eisenhower minacciò di dimettersi dal comando supremo delle Forze armate Usa. Il "bluff" funzionò e si scelse di seguire il piano di bombardamento del generale. Che però non era affatto tranquillo di aver imposto la scelta giusta, come dimostrano le sigarette: Eisenhower ne fumò almeno quattro pacchetti al giorno nei tre mesi precedenti allo Sbarco in Normandia.