Il documentario sui presunti abusi sessuali compiuti da re del pop suscita polemiche e l'opinione pubblica si divide tra colpevolisti e innocentisti
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Bandito da diverse stazioni radiofoniche in Nuova Zelanda e Canada, Michael Jackson è stato rimosso anche dal Manchester National Football Museum, che dal 2009 ospitava una sua statua. La messa in onda del controverso documentario “Leaving Neverland”, costruito intorno alle testimonianze di due presunte vittime di abusi sessuali del re del pop, continua ad avere serie ripercussioni. Intanto però alla folta schiera dei colpevolisti si affianca una sostenuta fazione di innocentisti, che oltre a manifestare con cartelli appesi al collo che dicono "Jackson is innocent" sostengono la dubbia attendibilità della pellicola.
Il film (dalla durata di 4 ore, ndr), diretto da Dan Reed e presentato in anteprima all’ultima edizione del Sundance Festival, è andato in onda sulla statunitense HBO gli scorsi 3 e 4 marzo e in questi giorni anche nel Regno Unito su Channel 4. Le reazioni non sono però state unanime. Da una parte tanta indignazione e la messa al bando della musica dell'artista, dall'altra la difesa che pone dubbi sulla veridicità delle parole delle due vittime, difesa capitanata dalla fondazione intitolata a Michael Jackson, che ha citato in giudizio l’emittente HBO per la sua decisione di trasmettere “Leaving Neverland”, ritenuto “una maratona unilaterale di propaganda non verificata”.
Tanti i dubbi e le perplessità intorno al documentario. Perché ad esempio intervistare solo due testimoni e i loro stretti familiari, senza offrire una pluralità di voci e un approfondimento indispensabili per sostenere una vera e propria accusa? E non è tutto. Dopo l'anteprima al Sundance Festival Jermaine Jackson aveva fatto una illuminante dichiarazione in difesa del padre: "Ciò che la gente non sa è che Wade Robson (uno dei due testimoni/vittime di abusi del documentario, l'altro è James Safechuck ndr) ha cambiato la sua versione dei fatti, quella che aveva raccontato sia prima che dopo la morte di Michael...".
Pare infatti che dopo essere stato escluso da uno spettacolo dedicato a Jackson, il coreografo abbia citato a giudizio l'Estate (che produceva lo spettacolo, ndr) per 1,5 miliardi di dollari senza successo. Da qui, secondo i familiari del cantante, l'idea di un documentario "per vendetta". Wade e Safechick inoltre, avevano in precedenza testimoniato sotto giuramento che la popstar non aveva mai abusato di loro. Nessuna prova concreta è stata poi portata a sostegno dell'accusa su cui si basa tutto il documentario.
L'intera famiglia della popstar lo difende a spada tratta e prepara una contro-programmazione al documentario lanciando una campagna di annunci pubblicitari, interviste e cause legali nel tentativo di salvare la reputazione di Jackson.
Il nipote Taj Jackson, membro dei 3T, ha promosso intanto una campagna di crowdfunding per la realizzazione di un film-verità come risposta a quello di Dan Reed, per difendere la reputazione dello zio. Anche Brandi Jackson, nipote della popstar e figlia di Jackie Jackson prende le difese dello zio e su Twitter scrive. "Sono stata insieme a Wade Robson per sette anni, ma naturalmente lui non lo ha detto nel documentario.. e posso affermare che è un bugiardo".
Dove si nasconde la verità?
Tea time ☕️
— Brandi Jackson (@BJackson82) 11 febbraio 2019
Wade and I were together for over 7 years, but I bet that isn’t in his “documentary” because it would ruin his timeline. And did I mention, it was my uncle, #MichaelJackson, who set us up? Wade is not a victim, #WadeRobsonIsaLiar