Rubberband, l'album perduto di Miles Davis
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Esce un inedito del grande trombettista rimasto negli archivi Waener per trent'anni e ora finalmente completato e pubblicato
di Sergio Bolzoni© ufficio-stampa
L’uscita di un album inedito di Miles Davis è un evento di per sé. "Rubberband" avrebbe dovuto segnare il debutto del “divino” Miles con la Warner Bros dopo 30 anni di Columbia ma rimase negli archivi perché nel contempo il grande trombettista si mise al lavoro per Tutu, forse il suo ultimo capolavoro assoluto, e non riprese mai più questi brani. Dopo l’assaggio dell’anno scorso con l’EP di quattro tracce ora è disponibile l’album intero.
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L’operazione della Warner è lodevole in linea di principio: ha richiamato i produttori originali – Randy Hall e Zane Giles - e il nipote di Davis, Wilburn Jr che aveva suonato la batteria nelle sessioni originali nell’85 e nell’86, per completare le tracce. La versione finale, inoltre, include molti ospiti tra i quali le cantanti Ledisi e Lalah Hataway. Il risultato però sarà in linea con le aspettative che un “album perduto di Miles Davis” inevitabilmente suscita? In sostanza: vale la pena ascoltarlo e acquistare il cd o il doppio vinile a 180g.? Noi abbiamo avuto la possibilità di ascoltare proprio il disco nero in anteprima e dobbiamo dire che la risposta è sì, inequivocabilmente sì.
Naturalmente c’è qualche brano che convince meno, ad esempio “So emotional” in cui è stata conservata solo la tromba di Miles per creare una hit che immaginiamo si sentirà molto sulle internet radio R&B, ma in generale si tratta di un vero album del Miles Davis del periodo. Anzi, track come “This is it” secondo noi vanno diritte nella top ten dei suoi brani migliori degli anni Ottanta e da sola vale il prezzo del disco.
Questo è un album funky, sostanzialmente, con alcune ricadute verso sonorità latineggianti – “Carnival time” – che però non inficiano la buona unità stilistica. Ci sono suggestioni che ricordano il Prince di quell’epoca e armonie che riportano alla memoria ora “On the corner”, ora "Bitches Brew”, ma con un sound che ci racconta bene cosa Davis amasse in quel periodo: il funk.
Insomma in "Rubberband" si capisce bene dove Miles voleva andare a parare - e questo è il miglior complimento che si possa fare ai produttori che hanno rinunciato a farne un “loro” disco - anche se ovviamente lui non l’avrebbe finito esattamente così.
A questo proposito è particolarmente interessante confrontare le due versioni del brano che dà il titolo all’album, quella originale e quella rivista dai produttori: la prima è sicuramente Miles anni ’80, la seconda resta indiscutibilmente Davisiana ma diventa un brano bellissimo che vede la collaborazione della cantante Ledisi e che sarà apprezzato anche dai più giovani che col “divino” non hanno mai avuto nulla a che fare.
Tirando le somme "Rubberband" è un album che merita di stare nella discografia Davisiana e quindi gli appassionati non possono farselo scappare. Chi ama il funk si troverà sicuramente di fronte a un disco di livello molto, molto alto. A chi non interessa nulla di tutto ciò ma con la musica vuole solo divertirsi, ascolterà un sacco di ritmo e, lo assicuriamo, sarà difficile restare fermi.