Acclamato da pubblico e critica a Spoleto lo scorso giugno al suo debutto nazionale
© Luca del Pia
Tratto dal best-seller d’esordio della scrittrice tedesca Katharina Volckmer, nell'adattamento e con la regia di Fabio Cherstich, arriva sul palcoscenico del Franco Parenti di Milano "L'appuntamento ossia la storia di un cazzo ebreo" (dal 20 settembre al 16 ottobre). Acclamato da pubblico e critica a Spoleto lo scorso giugno, al suo debutto nazionale, lo spettacolo mette in scena, come racconta la protagonista Marta Pizzigallo, un processo di "demolizione... per arrivare ad una costruzione"
Audace, controverso e provocatorio sin dal titolo, "Un cazzo ebreo" è stato scelto come libro dell’anno da diverse testate internazionali ed è in corso di traduzione in 12 paesi.
In scena la protagonista (Marta Pizzigallo), una donna, che attraverso un flusso di coscienza, al cospetto del suo analista, il dottor Seligman, attua la sua trasformazione. Da donna a uomo, da tedesca a ebreo.
A disagio nel proprio corpo di femmina, ma allo stesso modo anche nella propria identità di tedesca, in una memoria storica ereditata, tutte condizioni non scelte, la donna decide di cambiare e di diventare altro da sè.
Questa trasformazione passa però attraverso una vera e propria demolizione, la frantumazione di retaggi culturali, sociali e politici, dei luoghi comuni, degli stereotipi sul sesso, sui generi sessuali e sull’identità religiosa-individuale.
Quella che i tedeschi chiamano Vergangenheitsbewältigung (“superamento del passato”) ha perso consistenza. Il passato nazista è stato semplicemente rimosso in nome di un antirazzismo di facciata. "Non siamo mai stati davvero in lutto, semmai ci comportavamo assecondando una nuova versione di noi stessi – istericamente non razzisti in qualunque circostanza, e pronti a negare qualsiasi differenza. (…) Eppure non abbiamo mai restituito agli ebrei lo status di esseri umani né abbiamo permesso che interferissero con la nostra interpretazione della storia, fino ad arrivare a quel triste cumulo di pietre che è stato messo a Berlino a commemorare l’Olocausto", spiega la protagonista.
© Luca del Pia
La messa in discussione della propria appartenenza alla cultura tedesca diventa anche una radicale messa in discussione del proprio essere nata femmina: e allora perché non diventare ebreo, un cazzo ebreo (ovvero con il pene circonciso)?
Provocatorio e spudorato il testo fa i conti con la storia e con la propria coscienza, rivendicando la rottura del silenzio, la messa a nudo della falsità del politcally correct. Un’accorata denuncia che non lascia spazio alla pietà, che non offre soluzioni, ma che diventa uno sfogo, un pianto liberatorio.
Basta avere un cazzo circonciso per non essere più tedesca e femmina? No, ma il poterlo pensare è già una liberazione.
Cherstich ci chiede di diventare testimoni di un processo di distruzione di sé che è anche un inno alla complessità e alla fluidità di quello che siamo, di quello che potremmo osare essere e di quello che saremo: "Facciamoci oro, dottor Seligman. Cambiamo forma nei secoli, ma senza scomparire".