INTERVISTA A TGCOM24

Anna Ammirati in "Napoli - New York" di Salvatores: "Una storia semplice che fa bene al cuore"

L'attrice racconta il suo ruolo nel film e il rapporto sul set con il regista e il co-protagonista Pierfrancesco Favino

di Luca Freddi
23 Nov 2024 - 09:15
 © Ufficio stampa

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Anna Ammirati è tra i protagonisti del nuovo film di Gabriele Salvatores, "Napoli - New York”, ora nelle sale. L'attrice veste i panni di Anna Garofalo, moglie di Domenico Garofalo (Pierfrancesco Favino), commissario di bordo della nave su cui si sono imbarcati come clandestini Carmine e Celestina, due bambini napoletani fuggiti dalla miseria. Il suo personaggio sente forte il desiderio di adottarli dopo che ha sempre voluto dare dei figli al marito ma ciò non è mai avvenuto. L'attrice racconta a Tgcom24 il nuovo ruolo sul grande schermo e l'esperienza con il regista milanese, ultima tappa in ordine di tempo di una carriera che l'ha vista protagonista parallelamente tra cinema, tv e teatro.

Raccontaci il tuo ruolo in "Napoli - New York" e quanto è stato impegnativo

E' stato impegnativo perché rispetto agli altri ruoli ho dovuto indossare i panni di una donna totalmente di un'altra epoca. Un'epoca in cui non erano nati nemmeno i miei genitori. E' stato interessante perché sono stata costretta in senso positivo a creare uno studio rispetto a quello che succedeva alla fine della seconda guerra mondiale, chi erano le donne di quegli anni e il loro ruolo, molto diverso rispetto ad adesso. Anna Garofalo è una donna libera perché ha scelto di fare quel tipo di vita, cioè sposarsi, aspettare il marito a casa e desiderare di avere figli. Una vita che visto da un punto di vista di una donna del 2024 è quasi orripilante. Invece mi sono scoperta veramente comoda in quei panni perché le persone che scelgono sono libere. E lei ha fatto una scelta, non è stata costretta da nessuno e quindi in realtà Anna è una donna felice. E rispetto alla maternità, dice una frase molto importante, per me una delle più importanti del film: "Se Dio non ci ha voluto aiutare allora ci aiutiamo noi, il destino ce lo costruiamo noi". E questa cosa ritorna nel film in un'altra scena. Lei è una donna in realtà emancipata perché decide di adottare. Che io credo sia un pensiero rivoluzionario anche soprattutto rispetto alla maternità e all'essere madre, a chi non può avere dei figli. Significa salvare un bambino e avere la necessità di occuparsi di un'altra persona. Penso che Anna Garofalo mi abbia proprio insegnato questo: il valore dell'adozione e che puoi amare un bambino anche se non ha il tuo stesso sangue.

Com'è stata questa esperienza con Gabriele Salvatores?

Con Anna Garofalo sono stata costretta anche a studiare il personaggio da un punto di vista fisico come si fa a teatro. Come ho sempre detto, il film è uno spettacolo in tre atti. Io l'ho vissuto molto così e anche Salvatores ce l'ha fatto vivere così. L'impostazione che lui ha verso gli attori è sempre molto teatrale, e questa cosa non l'ho mai vissuta prima su un set. Lui ci fa preparare a metà, poi ci chiama sul set ci spiega la scena, ci fa capire l'inquadratura e poi ci fa ritornare nei camerini mentre gli altri reparti continuano a finire la preparazione. Quel tempo in cui ritorniamo giù e ci finiamo di vestire serve per far sedimentare le cose. E' come se avessimo fatto una piccola prova. E' stato originale questo tipo di approccio al lavoro e non l'ho mai vissuto con altri registi. Sul set di Gabriele mi sono sentita molto protetta.

Ci sono stati momenti particolari sul set? Com'è stato il rapporto con "tuo marito" Favino? 

Il rapporto con Favino  è stato veramente molto positivo. Mi porto un ricordo bellissimo, è un attore straordinario e poi un grande professionista con cui si può ci si può confrontare su tutto. Abbiamo molto parlato dei nostri personaggi e della coppia. Tra di noi ci siamo costruiti anche una back story segreta che non era scritta da nessuna parte: dove ci siamo incontrati, come ci siamo conosciuti, quando ci siamo visti. Ci siamo anche un po' inventati che mio padre non voleva darmi a lui. Quindi è stato molto interessante parlare e confrontarmi con lui. Ecco vedi, anche questo è stato molto teatrale, forse anche proprio partendo dall'impostazione che ha dato Gabriele, probabilmente abbiamo capito che era quel tipo di lavoro che dovevamo fare. 

Conoscevi già Salvatores? Ti piace il suo cinema?

Sì, Gabriele lo conoscevo ed erano anni che volevo lavorare insieme con lui. Apprezzo i suoi i suoi film, anche l'ultimo, su cui ho sentito pareri discordanti, a me è piaciuto tantissimo e l'ho visto più volte. "Napoli - New York" è un film, come ho già avuto modo di dire, che sa di biscotti appena sfornati, quei biscotti della nonna, della mamma che son sempre i più buoni e sono semplici. E il film è proprio una storia semplice, che non vuole fare e non vuole dare lezioni a nessuno, però affronta temi molto importanti, fa bene al cuore perché passi due ore e ti dimentichi veramente che cosa c'è fuori. E' una favola. 

Fin da piccola sei stata sostenuta da tua madre per recitare. Come hai imparato il mestiere dell'attrice?

Dico sempre a mia madre: "Sei tu che mi hai rovinata", in modo divertente perché lei da piccolina mi portava in giro alle varie compagnie teatrali, aveva degli amici che facevano teatro e quindi diceva "Mia figlia è molto brava". Mi ha sostenuto molto. Comunque fin da quando ero bambina, quando mi chiedevano che lavoro volessi fare da grande, io dicevo l'attrice. Sono andata a Roma dove mi sono iscritta a psicologia per scappare di casa. Perchè mentre mia mamma mi ha sempre sostenuta, mio padre dall'altra parte era esattamente l'opposto, cioè per lui il mondo del cinema era proprio il male. Dopo due anni ho lasciato l'università e sono entrata in accademia.

Hai esordito con Tinto Brass. Com'è stato per te quel ruolo?

Ero giovane, avevo 19 anni. E' stato talmente tutto incosciente come se un amico passasse e dicesse "Andiamo a farci un volo con il paracadute? Facciamo una cosa folle oggi". Questo è stato l'approccio. Poi tutto quello che è venuto dopo me lo sono me lo sono sudato e guadagnato perché non è stato per niente facile.

E' un ruolo che ti ha segnato o ingabbiato in qualche modo?

Credo che qualsiasi ruolo ti possa ingabbiare. Anche dopo aver fatto il ruolo di un cattivo, poi ti chiamano sempre a fare lo stesso. In realtà sta a te capire innanzitutto, e se sei un attore che ha talento alla fine non ci sono ruoli che ti ingabbiano. Questa è una grande prova per chiunque. Quanti ne hai visti che si sono persi? Io ogni tanto mi vado a vedere anche il percorso di mie colleghe che hanno esordito con grandi registi, e poi non le ho più sentite. 

Parallelamente all'esordio cinematografico hai iniziato a fare teatro, con Giulio Bosetti e Caty Marchand, e intanto anche tanta televisione. Com'è l'impegno che porti avanti su questi tre fronti, quale ti dà più soddisfazione, ne preferisci qualcuno?

Per un attore credo che ormai le cose siano cambiate, non è più come negli anni 60-70 che se facevi tv eri bandito dal teatro o comunque venivi visto come quello commerciale. La voglia di recitare e di metterti nei panni di un personaggio nuovo credo che sia uguale, sia sul set di un film, che in una serie televisiva, che in teatro. Io adoro fare il mio lavoro, non mi piace la realtà, non mi piace la vita reale, quindi tutto quello che mi porta lontano dalla vita reale per me è proprio oro. E quindi ben venga qualsiasi set. Non ne preferisco uno in particolare, e sono tre ben diversi. In teatro c'è la ripetizione. Come diceva Peter Brook: "La ripetizione e la madre di tutte le arti", cioè ti pone tutte le sere a ripetere sempre lo stesso copione. Poi però la magia, chissà perché, ogni sera è diversa. Poi un film è totalmente diverso; la macchina da presa è una specie di radiografia che ti legge dentro e prende tutto quello che vivi, mentre in teatro puoi anche barare. Invece sul set di una serie televisiva entri un po' più in un circuito industriale in cui arrivi, devi essere veloce, devi essere super preparata, devi essere comunque una macchina. Con il mio lavoro, ogni volta che sono sul set o sul palcoscenico, sono felice perché credo che ti allontani e ti faccia dimenticare che esiste quella cosa che si chiama morte.

Hai qualche progetto già in cantiere?

Mi sto occupando di sviluppare un documentario, che per metà ho già fatto, sulla crisi della sinistra in Italia. Ho intervistato i più grandi leader della sinistra. Ed è stata un'esperienza interessante, un bel viaggio.

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