comics in lutto

Ciao Sergio, è stata una grande avventura

La scomparsa di Bonelli rappresenta una grande perdita per il fumetto e la cultura. E ora ci piace immaginarlo tra i suoi personaggi...

di Domenico Catagnano
26 Set 2011 - 14:20
 ©  Olycom

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E ora ci piace immaginarlo a Manaus, in Amazzonia, a salvare un pezzo di foresta con Jerry Drake, alias Mister No. O in un'altra foresta, quella di Darkwood, a proteggere gli indiani con Zagor e Cico. O ancora con Tex, in un saloon, a far fuori una bistecca alta due o tre dita con un sacco di patatine fritte. Ma anche in un incubo di Dylan Dog, in un enigma di Martin Mystére, nello spazio con Nathan Never, a indagare e risolvere un omicidio con Julia... Ci piace immaginarlo in uno di quei mondi che ha creato in prima persona o come editore, forte di quella passione che lo ha sempre animato. Sergio Bonelli se n'è andato per vivere avventure di altro tipo, e dobbiamo pensarla così per essere meno tristi.

In Italia il suo cognome è diventato sinonimo di fumetti. Aveva iniziato il padre, Gianluigi, la cui fantasia aveva partorito Tex, l'eterno Tex. Sergio era nato (correva il 1932...) tra i baloon, e alle nuvole parlanti ha dedicato la sua vita. Amava viaggiare,  amava il Sud America e gli States più selvaggi, dove abitavano le "sue" creature Mister No e Zagor, che aveva creato sotto le false spoglie di Guido Nolitta, uno pseudonimo scelto per rispetto nei confronti del padre per non creare confusione.

Autore, dicevamo, ma anche e soprattutto editore. Il "formato Bonelli", quello degli albi rettangolari da cento a 300 pagine, che a cavallo tra gli anni '50 e '60 sostituì la striscia, è diventato un'istituzione, un formato ormai standard per i romanzi a fumetti. Fu uno tra i primi a intuire in Italia la potenza del fumetto come forma artistica e letteraria, e la sua casa editrice è diventata in questi ultimi decenni il punto di riferimento più importante per autori e disegnatori di strisce.

Fino agli anni '80 una certa critica benpensante gli rimproverava, spocchiosamente, di fare solo fumetti d'avventura disimpegnati, bollandoli come "popolari" e contrapponendoli a quelli "d'autore". Criticoni che hanno dovuto poi fare un passo indietro, quando Bonelli iniziò in sequenza a pubblicare "Martin Mystère" (1982), "Dylan Dog" (1986) e "Nathan Never" (1991), fumetti colti, coltissimi, con taglio e formato popolare. Qualità, serialità e una buona dose di ironia. Una piccola grande rivoluzione nei comics nostrani che continua fino a oggi.

Si diceva fortunato, Bonelli, perché diceva di aver trasformato la sua grande passione in lavoro. Una fortuna che però ha dovuto affrontare diverse crisi del settore, combattute con determinazione e coraggio. Leggenda vuole che non chiudesse le sue testate per dare da lavorare a più gente possibile, bravi autori e buoni disegnatori, tanto il traino per i personaggi più deboli era assicurato dalle vendite degli albi di quelli più forti. Non sappiamo dove finisca la realtà e inizi la leggenda, ma testimoniamo per certo, per averlo toccato con mano, l'amore smisurato di Bonelli per il suo mondo, la gratitudine di chi lavorava per lui, la felicità immensa per ogni nuova avventura editoriale, per la nascita di un nuovo personaggio, e l'immensa tristezza quando c'era da dire arrivederci a un eroe e sospenderne le pubblicazioni.

L'arrivederci più duro da sopportare ora è per lui, una vera persona per bene con la quale era sempre un piacere scambiare quattro chiacchiere, sentire la sue storie, i suoi aneddoti, le sue avventure reali che spesso diventavano spunto per quelle su carta, narrate sempre con una deliziosa ironia. E che quest'ultimo suo viaggio lo racconterebbe a bordo dello scassatissimo Piper di Mister No...

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