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Un ebreo a caccia dei "Giusti"

Nissim racconta la vita di Moshe Bejski

05 Mag 2004 - 18:56

Di genocidi, massacri etnici e religiosi, è insanguinata la storia dell’uomo. Senza andare molto indietro nel tempo, basta osservare il secolo appena trascorso per rendersi conto di quanto il genere umano sia capace nella sua corsa alla distruzione del suo simile. La Shoah è stato il più terribile, ma non l’unico, orrendo crimine di massa del Novecento: prima c’era stato il genocidio del popolo armeno ad opera dei turchi, poi quello delle popolazioni curde, massacrate sia in Turchia sia nell’Iraq di Saddam Hussein. L’ultima strage etnico-religiosa si è avuta in Bosnia-Erzegovina. Ma stiamo parlando dell’Europa: in Africa altri massacri, forse meno documentati ma non meno cruenti, sono avvenuti tra Pigmei e Watussi, tra Tutsi e Hutu.

Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, a Norimberga vennero giudicati i criminali nazisti responsabili della Shoah. Simon Wiesenthal ha continuato per mezzo secolo a dare la caccia agli SS che erano riusciti a sfuggire alla giustizia internazionale. Oggi il Tribunale dell’Aja ha cominciato a giudicare e condannare i responsabili della “pulizia etnica” bosniaca.

Ma qualcuno ha pensato di consegnare alla memoria anche chi ha avuto il coraggio di opporsi alle mostruosità dei tempi in cui viveva, anche solo con un gesto di umana compassione. Moshe Bejski, l’uomo che ha creato il Giardino dei Giusti in Israele, è uno degli “ebrei di Schindler”  la cui vicenda umana viene raccontata da Gabriele Nissim ne “Il tribunale del bene”.

Nato in provincia di Cracovia nel 1920, Bejski ha vissuto, da ebreo, il calvario dell’invasione nazista della Polonia. Perseguitato dai tedeschi, abbandonato dai vecchi amici polacchi, ha trovato sulla sua strada Oskar Schindler, l’unico tedesco che abbia avuto pietà di lui. Sfuggito così miracolosamente ad Auschwitz, alla fine della guerra è emigrato in Israele, dove è diventato giudice della Corte Costituzionale.
Negli anni '60, dopo il clamore del processo Eichmann, a cui ha fornito la propria testimonianza, è entrato a far parte della Commissione dei Giusti, appena istituita, diventandone  pochi anni dopo presidente. Il Museo di Yad Vashem è stato eretto negli anni '50 a perenne ricordo delle vittime della Shoah e il Giardino dei giusti, al suo interno, è stato creato per onorare i non ebrei che si erano prodigati nel soccorrere e salvare gli ebrei dallo stermino nazista.

Secondo Bejski, la memoria di un genocidio si conserva sia indicando e ricordando le responsabilità dei carnefici, sia non dimenticando chi ha avuto un gesto di umana pietà per le vittime.

“Se documentiamo il bene compiuto da alcuni uomini nelle situazioni di male estremo – ha spesso sostenuto – possiamo offrire alle nuove generazioni un grande esempio morale. Non forniremo il grimaldello magico per eliminare la presenza del male, ma insegneremo loro come comportarsi per difendere la dignità umana”.

Nel suo libro Nissim esamina i casi più controversi che Bejski ha dovuto affrontare nel decidere se assegnare o meno il titolo di Giusto tra le nazioni. Poteva, ad esempio, essere riconosciuto come Giusto chi aveva salvato un ebreo e poi si era reso responsabile di crimini, o la donna che aveva nascosto dei perseguitati mentre si prostituiva con i nazisti o, ancora, chi aveva salvato decine di ebrei in Polonia pur rimanendo antisemita? Chi aveva dato aiuto in cambio del denaro, o chi aveva salvato soltanto perché era innamorato? Contava l’intenzione o il risultato? Era un Giusto anche chi aveva fallito? Si poteva riconoscere il valore di un gesto di solidarietà messo in atto senza rischiare la vita?
Bejski ha introdotto tra i criteri per assegnare il titolo anche il principio della coerenza interna del gesto di soccorso, che deve essere determinato da un autentico spirito umanitario, ma senza per questo richiedere la coerenza assoluta nei comportamenti del soccorritore, a cui possono essere riconosciute tutte le attenuanti dal punto di vista umano e personale. Con questi criteri anche Oscar Schindler, divenuto famoso grazie al film di Spielberg , basato soprattutto sui documenti e sulle testimonianze raccolti da Bejski, ha ottenuto il riconoscimento di Giusto tra le nazioni.

Il grande merito di Moshe Bejski  potrebbe essere l’aver intuito, come forse nessuno dopo la Shoah, il valore assoluto della “memoria del bene”, che vuol mostrare le possibilità di rigenerazione morale anche nei momenti estremi, che tenta di restituire alle vittime la speranza e la forza di ricominciare, che rappresenta la più importante eredità etica per le nuove generazioni, affinché il male possa essere combattuto ogni volta che si ripropone nella storia.

La lunga battaglia di Bejski dimostra che non possono essere attribuite a un intero popolo le colpe di una parte di esso. Ma, forse, è ancora tutta da dimostrare la sua convinzione che basti un piccolo gesto di solidarietà del singolo per tornare a credere nella natura fondamentalmente buona del genere umano. Qualcuno ha detto che la capacità dell’uomo di compiere crimini è pari solo alla sua fantasia. Ancora oggi molti, troppi uomini fingono di non vedere o non sentire gesti e parole che possono portare, attraverso un possibile crescendo di intolleranza e razzismo, a nuove, future mostruosità. 

Dario Palma

Gabriele Nissim
"Il Tribunale del bene"
Mondadori - Pagg. 338    € 18

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