L'attore in scena al Piccolo di Milano con "La torre d'avorio", spettacolo che pone un interrogativo fondamentale: l'arte è libera dai condizionamenti politici?
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L'arte può ritenersi esentata dallo schierarsi? Se lo chiede "La torre d'avorio", al Piccolo teatro di Milano fino all'8 dicembre, ambientato nella Berlino del dopoguerra, dove un maggiore americano cerca di inchiodare un direttore d'orchestra colpevole di non essersi opposto al nazismo. Diretto e interpretato da Luca Zingaretti, vede in scena anche Paolo Briguglia. "E' uno spettacolo che costringe a pensare, a prendere posizione" dice a Tgcom24.
Scritta da Ronald Hardwood, la piece, ispirata a una storia vera si intitola in originale "Taking Sides", letteralmente "schierarsi". In questo adattamento italiano si è optato per "La torre d'avorio", quella nella quale gli artisti ogni tanto credono di potersi rinchiudere al riparo dalle bufere della vita di tutti i giorni. Anche di fronte a un'"inezia" come il regime nazista. Il direttore d'orchestra, il più grande della sua epoca, in realtà non aderì mai al nazismo né prese mai la tessera del partito, ma al contrario di molti suoi colleghi non scelse la via dell'esilio e rimase in Germania. Tanto bastò per metterlo nel mirino degli alleati una volta caduto il regime. "Il grande scontro avviene tra questo direttore d'orchestre, Wilhelm Furtwängler (interpretato da Massimo De Francovich) e un maggiore americano che deve interrogarlo per capire se abbia o meno aderito al nazismo" spiega Paolo Briguglia.
Il tuo ruolo qual è?
Io sono David un ufficiale di collegamento tra i servizi segreti americani e quelli alleati, inviato ad aiutare il maggiore, Luca Zingaretti, nell'interrogatorio. Questo ragazzo è un ebreo tedesco, che fa parte di quell'ondata che nel 1934 riuscì a emigrare prima che i Paesi stranieri chiudessero le frontiere. Lui avrebbe tutti i motivi per desiderare di inchiodare qualunque tedesco.
L'atteggiamento del maggiore americano è particolarmente duro.
Per lui tedesco è uguale a nazista. Un pensiero in qualche modo comprensibile se si pensa che a Berlino fino al giorno prima della liberazione, centinaia di migliaia di persone avevano la tessera del partito nazista, mentre e una volta arrivati gli alleati erano diventati tutti antinazisti. Il sospetto poteva ricadere su chiunque.
Anche a rischio di trovare capri espiatori in realtà innocenti?
Infatti il punto è che tutte le testimonianze dicono che Furtwängler ha aiutato decine di ebrei a scappare. Si è battuto per far avere dei permessi per partire. Quindi il personaggio che interpreto non ci sta a mandarlo sul rogo: pur ambiguo, il musicista ha salvato delle persone, non va trattato in quel modo. E nasce un conflitto sempre più forte con il personaggio di Zingaretti, al quale non interessano le prove, vuole inchiodarlo e basta.
Come mai questo atteggiamento di sospetto verso i teedschi?
Perché in fondo le responsabilità dei tedeschi nel genocidio degli ebrei furono pesanti. I Germania pochissimi formarono una vera resistenza al nazismo, e finirono anch'essi nei campi di concentramento. Per il resto la caccia all'ebreo fu particolarmente devastante perché in Germania non erano come in altre nazioni, ortodossi che parlavano yiddish e facevano comunità a sé: erano tedeschi fino al midollo, che avevano combattutto durante la prima guerra mondiale, avevano le medaglie d'onore. E i cittadini tedeschi ariani furono terribili, si trasformarono in nazisti da un giorno all'altro.
Una particolarità del testo è che non prende posizione, ma costringe il pubblico a farsi una propria idea...
Tu puoi ascoltare le argomentazioni del maggiore americano e trovarle giuste, nonostate la violenza verbale e psicologica. D'altra parte ascolti Furtwängler e, pur condannandone qualche ingenuità e la mancanza di posizione netta, capisci quello che ha cercato di fare. E quando lo spettacolo finisce, resti con un interrogativo che viene riassunto da uno scambio di battute alla fine: come ci saremmo comportati al suo posto? Questo testo riesce a farti rivivere il clima di quel momento e il senso di umanità messa alla prova.
Secondo te l'artista dovrebbe sempre schierarsi o l'arte in qualche modo è su un piano diverso?
Credo che l'arte non debba schierarsi ma piuttosto raccontare. Siamo abituati in Italia alla politica come l'arte dello schieramento, del conflitto, ma questa è una farsa. In realtà quello di cui dovremmo parlare tutti i giorni sono i grandi temi civili, le cose da fare per far vivere meglio la nostra comunità, i bisogni reali. L'arte deve raccontare non tanto la politica quanto i problemi delle persone. In questo senso è uno specchio del suo tempo ed è impegnata. Quasiasi forma artistica, dalla musica al teatro. Sin dalle sue prime forme l'arte è nata come espressione dell'uomo che si racconta e mostra collettivamente quali sono i problemi: anche se non trova la soluzione ha sollevato la domanda e la condivide.