L'attore porta nei teatri italiani "Penso che un sogno così...". "Ho preso il deltaplano delle sue canzoni e ho sorvolato la mia vita" racconta a Tgcom24
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Giuseppe Fiorello racconta la sua storia a teatro e lo fa usando come filo conduttore le canzoni di Domenico Modugno. E' "Penso che un sogno così...", one man show partito in questi giorni e che girerà tutta l'Italia fino al 6 aprile. "Non rifaccio Modugno in teatro - spiega Fiorello a Tgcom24 -. Diciamo che sono salito sul deltaplano delle sue canzoni e ho sorvolato la mia vita. Il vero protagonista dello show è mio padre".
Quello con Domenico Modugno per Giuseppe Fiorello sembra essere stato davvero l'incontro con il destino. Prima una fiction di grande successo, e adesso questa lunga tournèe teatrale, che avrà un'appendice persino negli Stati Uniti, con uno spettacolo, scritto dallo stesso Fiorello con Vittorio Moroni e con la regia di Giampiero Solari, nel quale il cantante pugliese diventa il gancio per ripercorrere la propria vita, tra episodi e affetti.
Con Modugno si è creato un legame così stretto che ora rileggi la tua vita attraverso di lui?
Quando ho costruito il film, mano a mano che raccontavo lui scoprivo me stesso: mio padre, la mia vita e il mio passato. Perché attraverso le sue musiche mi sono riaffiorate immagini di me, bambino al mio Paese, con i miei amici. Di un'Italia andata, quella degli anni 70. E allora, sono salito sul deltaplano delle musiche di Modugno e ho sorvolato tutta la mia vita. Riscoprendo aneddoti, cose buffe e dolorose, alcune così pazzesche da sembrare romanzate. Mentre nel film ho raccontato io lui, questa volta è lui che ha raccontato me.
Come è nato il parallelo tra Modugno e il vero protagonista dello spettacolo, ovvero tuo padre?
Mi sono divertito a intrecciare le due figure perché avevano molti punti in comune, e a un certo punto questa è diventata una sovrapposizione tale da ricreare quasi una persona unica. Intanto si somigliavano tantissimo fisicamente: i capelli, la voce, i baffetti. E poi negli anni ho scoperto una serie di aneddoti che li ha accomunati. Per esempio mio padre veniva spesso chiamato da fidanzati disperati che, come ultimo tentativo di conquistare l'amata, gli chiedevano di andare a cantare serenate sotto le finestre. Con il risultato che poi queste si innamoravano di lui. Stessa identica cosa accadde a Modugno da giovane.
Anche tuo padre aveva velleità artistiche?
Sì, un altro elemento in comune con Modugno. Ma in quell'epoca bisognava trovare il coraggio di partire e non era facile. E io lo dico nello spettacolo: mio padre il coraggio lo trovò... di rimanere. Mettere su famiglia e arruolarsi nella guardia di finanza. Modugno invece fece la valigia e partì. Mio padre così non ha mai realizzato le sue velleità artistiche ma la vita, in qualche modo, gliele ha restituite attraverso di noi.
Quindi è uno spettacolo molto personale. Potremmo addirittura definirlo intimista?
In parte. In realtà con il filo conduttore delle sue musiche, attraversiamo momenti storici, aspetti sociali dell'Italia dell'epoca. E così vengono affrontati temi come il progresso, il caporalato. E poi l'industria, la fabbrica, il Sud, l'emigrazione. Con dei personaggi assurdi. Mentre lo scrivevamo ci sembrava un bel testo drammaturgico mentre alla fine sono emersi anche degli aspetti tragicomici e comici che non ci aspettavamo. Grazie soprattutto a personaggi che ho scovato nei miei ricordi e che, portandoli in scena, fanno molto ridere.
Per esempio?
L'emigrato che ha fatto fortuna in America e torna al mio Paese ogni anno per la festa di San Giuseppe. Si fa un'asta, dove ognuno mette a disposizione qualunque cosa. E poi c'è l'oggetto più ambito: il bastone di San Giuseppe, fatto di torrone e alto tre metri. E quest'italoamericano ricchissimo ogni anno se lo compra lui, perché nessuno può competere.
Finirete la tournèe negli Stati Uniti...
Sì, ci sono sono arrivate richieste persino da lì. Mi chiedevo cosa avrebbero potuto capire ad Atlantic City dello spettacolo ma mi è stato risposto che capiranno meglio che al Paese mio... Ci saranno molti emigrati e tra loro Modugno è ancora molto vivo.
Andando a pescare nel repertorio meno conosciuto di Modugno hai avuto un'ulteriore conferma della sua modernità?
La sua lungimiranza su alcune tematiche è davvero straordinaria. Malarazza per esempio affronta il tema del caporalato, dello sfruttamento. Racconta di un colloquio tra un operaio e Gesù, che dalla croce gli risponde. E' un momento teatrale di grande tensione.
Musica, risate, tensione... lo spettacolo tocca molte corde emotive.
Ho letto di momenti di commozione generale alla fine. Questo perché metto dentro molto di me stesso e della mia vita: parlo della morte di mio padre ma anche di quando ero piccolo e non riuscivo a confessare il mio sogno, che era questo, ovvero salire su un palco e raccontare delle storie, perché cozzava con l'essere troppo timido e bloccato.
E' per questo che qualcuno ha definito lo spettacolo "dolcemente psicanalitico"?
Nello spettacolo c'è un aspetto psicanalitico, per quanto affrontato con leggerezza. Mi sono ispirato a Hillman e al suo saggio "La forza del carattere". Questo grande psicologo sosteneva che dietro bambini paurosi si nasconde proprio l'esatto contrario. Per esempio sostiene che Manolete, il grande torero, era una bambino malaticcio e pauroso perché nascondeva in quella paura il suo aver capito, in un inconscio molto profondo, che sarebbe diventato un grande torero. E io mi sono ritrovato perché già quando qualcuno mi chiedeva come stavo arrossivo e balbettavo.