Per l'Italia del 1896 onta irreparabile
Il 1° marzo 1896, all'alba, una colonna di 16mila italiani marcia verso Adua, all'attacco dei 100mila etiopi del negus Menelik, guidata da un generale, il garibaldino Oreste Baratieri, che continua a comandare le sue truppe nonostante sia stato destituito. E gli italiani, male addestrati e peggio armati vengono massacrati uno dopo l'altro: un vizio tutto italiano, quello di mandare alla guerra i propri soldati armati con fucili a tappo.
I "selvaggi" del negus, come li chiamava la stampa dell'epoca, avevano invece armamenti migliori dei nostri, che in Abissinia pensavamo di avere a che fare con quattro baluba che aspettavano solo di essere conquistati dagli italiani.
Ma se per un qualsiasi altro impero coloniale una simile sconfitta sarebbe stata presa unicamente per quello che era, cioè una battaglia perduta, non così per l'Italia, che visse la disfatta come un'umiliazione insopportabile, come un'onta da lavare con il sangue. E fu proprio questo il sentimento popolare che consentì a Mussolini, nel 1935, di vendicare quella sconfitta e di ottenere un grande consenso.
"Adua", è un libro ben scritto, che non dice nulla di nuovo sulla battaglia di Adua, sviscerata già da decenni in ogni suo aspetto, ma che la racconta in un modo particolare, guardandola con gli occhi di chi quella battaglia la combatté e non, come è stato finora, con quelli del "senno di poi". Anche se, naturalmente, non mancano commenti e spiegazioni per dare al lettore una visione d'insieme sui motivi che portarono a quei disastrosi combattimenti, sulla politica coloniale (in realtà inesistente) dell'Italia postrisorgimentale, sulla smania dell'italia unita di diventare, al pari di Francia e Gran Bretagna, un impero coloniale e non restare, come era stato negli ultimi millecinquecento anni, il fanalino di coda dell'Europa in quanto a potenza militare Tutti motivi che poi saranno la rampa di lancio del fascismo.
Domenico Quirico
"Adua"
ed. Mondadori
373 pagine
18 euro