Uno dei teatri più prestigiosi d’Italia riapre la stagione con il capolavoro di Calvino, sempre sold out negli ultimi due anni
di Roberto Ciarapica© Ufficio stampa
Il barone rampante è risalito sugli alberi del Piccolo Teatro Grassi di Milano. Ed è, di nuovo, un grande successo di pubblico e di critica. Per la terza stagione consecutiva - dopo le prime due con tutte le date esaurite - il capolavoro del 1957 di Italo Calvino torna in scena (fino al 13 ottobre) nell’adattamento firmato e diretto da Riccardo Frati, prodotto dal Piccolo.
E così rieccolo il baroncino Cosimo (Matteo Cecchi) che, in segno di protesta contro le convenzioni e le regole bigotte del suo tempo, si arrampica e va a vivere (per sempre) sugli alberi di una Liguria immaginaria di fine '700, allestita con stupefacente cura grazie a un notevole sforzo produttivo, che ha ricostruito il regno alberato del personaggio forse più amato di Calvino usando una serie di passerelle pensili, in continuo movimento.
Fedelissimo al romanzo, Frati ha affidato la voce narrante della storia a Leonardo De Colle (che veste i panni di Biagio, amato fratello di Cosimo): è lui - esattamente come nel libro - ad aprire e a chiudere il racconto di una storia commovente, delicata, lieve come il peso etereo di questo adolescente che invecchia saltellando da un ramo all’altro, da un giardino all’altro, da un Paese all’altro, alla scoperta del mondo, dell’amore e della morte.
Il barone rampante del Piccolo (che vede salire sul palco anche Mauro Avogadro, Nicola Bortolotti, Michele Dell’Utri, Diana Manea, Marina Occhionero: tutti bravissimi) è lo stesso che commuove nel romanzo di Calvino, forse un po’ meno efficacemente nella prima parte, quando il regista è obbligato a far correre gli eventi per ambientare, introdurre e sviluppare la storia. Nella seconda parte dell’opera teatrale, invece, la forza emotiva delle parole e delle scelte sceniche trasforma il Piccolo in una specie di nido in cui si schiudono (e chiudono) passioni, sogni, paure, vite.
Il baronetto Cosimo Piovasco di Rondò, adolescente rampollo di una famiglia nobile dell’immaginaria cittadina ligure di Ombrosa, porta sul palcoscenico le sue idee rivoluzionarie, giacobino dei sentimenti e dell’anima, irriducibile simbolo di coerenza, di libertà e di amore per il prossimo, personaggio dall’intensa (oggi più che mai) impronta ecologista. Il quale - come recita il suo epitaffio, citato nel toccante finale dal fratello Biagio (che lo ha appena visto appendersi all’ancora di una mongolfiera e volar via verso il mare) - “Visse sugli alberi, amò sempre la terra, salì in cielo”.