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Tra alti e bassi, fallimenti e rinascite, l'artista inglese è stato protagonista di un'epoca e continua a essere un punto di riferimento
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Compie 60 anni George Alan O'Dowd, per il mondo Boy George. Icona pop simbolo degli anni 80, dopo l'esplosione di popolarità con i Culture Club, l'artista londinese ha proseguito la sua carriera tra alti e bassi, cadute nelle polvere con guai giudiziari e grandi ritorni di fiamma, cimentandosi come interprete solista e di musical, dj, mantenendo la sua notorietà fino a oggi.
Era il 1982 quando anche l'Italia scoprì Boy George, leader dei Culture Club. Dopo un primo singolo passato inosservato, il reggae morbido di "Do You Really Want Hurt Me" trasformò il quartetto in un vero fenomeno di massa. Merito soprattutto di quel leader estroso: con i vestiti coloratissimi e sgargianti, le treccine, un look assolutamente gender fluid in anticipo sui tempi che ne rendeva quasi impossibile una definizione univoca (ritirando il Grammy come miglior artista esordiente, ringraziò l'America dicendo "Avete stile e gusto, e sapete riconoscere una drag queen con le carte in regola, quando ne vedete una..."), Boy George divenne in un attimo uno dei simboli più riconoscibili di un'epoca.
La stella dei Culture Club brillò per tre anni, il tempo di due album, "Kissing To Be Clever" e soprattutto "Colour By Numbers" (con singoli come "Karma Chameleon", "Miss Me Blind", "It's A Miracle" e la ballad "Victims") capaci di vendere milioni di copie in tutto il mondo. Un successo incrinato dalle due successive uscite, capaci di proporre giusto un paio di singoli dal riscontro discreto, e che portarono ben presto allo scioglimento del gruppo (aiutato dalla fine della relazione tra Boy George e il batterista Jon Moss). Da quel momento la carriera solista dell'artista inglese è proseguita in maniera a dir poco discontinua: tra un buon esordio con una cover ("Everything I Own") e un ritorno di popolarità con la colonna sonora del film "La moglie del soldato" ("The Crying Game"), in mezzo e dopo ci sono stati tanti flop e il suo nome è tornato alle cronache soprattutto per guai giudiziari.
Ma Boy George ha mostrato di avere sette vite come i gatti. Nei primi anni 2000 ha riscosso un grande successo con il musical "Taboo", in parte ispirato alla sua vita, dove però lui non interpretava se stesso. Poi sono arrivate la reunion dei Culture Club e una nuova carriera da dj che ne ha fatto un personaggio rilevante nel circuito dei club. Il punto più basso per lui sarebbe arrivato nel 2009: accusato di aver ammanettato a un letto un escort gay sieropositivo, viene giudicato colpevole di sequestro di persona e condannato a 15 mesi di reclusione.
Superato quel momento però sembra tornare a nuova vita. Perde i tanti chili di troppo che aveva messo su nel corso degli anni e, complice anche qualche ritocchino, sembra ringiovanire. Un cambio di look che va di pari passo con numerosi progetti in cui si butta a capofitto.
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