Brian Eno: "Ho fatto l'artista perché non volevo essere costretto a lavorare"
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L'incontro con il produttore e compositore inglese ha aperto la quinta edizione del "Medimex", il salone dell'innovazione musicale in corso a Bari fino al 31 ottobre
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Ha preso il via la quinta edizione del Medimex, il salone dell'innovazione musicale che fino al 31 ottobre vede protagonisti artisti e addetti del settore musica alla Fiera del Levante di Bari. Il primo appuntamento è stato con il compositore inglese Brian Eno, che ha parlato del sue essere artista, tra aneddoti e ironia. "Ho fatto tutto nella vita perché non volevo avere un lavoro comune - ha spiegato -. Per questo sono diventato un artista".
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Apertura nel segno della storia della musica per il Medimex 2015. Protagonista del primo degli incontri d'autore è stato Brian Eno. Fondatore dei Roxy Music, braccio destro del Bowie berlinese, produttore dei più importanti album degli U2. Questo solo per tracciare tre coordinate nella straordinaria carriera di un artista multimediale, maestro della musica elettronica, creatore della musica ambient e anche artista non strettamente legato alla musica. Non a caso il motivo principale per cui è intervenuto al Medimex è stato per parlare della sua installazione in mostra a Bari, "Light Paintings", dove la luce è protagonista nella creazione continua di forme in divenire.
L'universo creativo di Eno è un tutt'uno senza pareti divisorie. Una storia iniziata alla fine degli anni 50 grazie a una canzone delle Silhouettes. "Era il 1958, quando ho sentito per la prima volta il singolo 'Get a Job' - ha spiegato -. Una sera ho visto mio padre tornare a casa e cadere sfinito prima ancora di cena. Ho promesso a me stesso che non avrei mai avuto un lavoro".
La soluzione alternativa? Diventare una artista. La passione del giovane Eno è la pittura e riusce a entrare alla scuola di arte pubblica mostrando la sua riproduzione di una donna "dal grosso culo" di Mondrian. Quei due anni scolastici per lui sono fondamentali per tutto ciò che sarebbe seguito. "Proprio in quei due anni la scuola seguiva un programma sperimentale - spiega -. Si faceva arte ma anche musica, matematica, cibernetica. Nella scuola c'era un registratore a nastri. Era affascinante perché mi sembava di poter portare indietro il tempo".
Il racconto di Eno prosegue sul filo dell'ironia (c'è anche lo spazio per una "pausa toilette"), tra aneddoti gustosi ("Terminata la scuola sono entrato in una rock band ma una sera, mentre ero sul palco, mi sono ritrovato a pensare al bucato e ai vestiti sporchi nella valigia. Ho capito che dovevo cambiare") e infiorettamenti ad hoc degli episodi dei suoi inizi ("se raccontassi come sono andate realmente le cose sarebbe molto più noioso").
Quello che Eno non manca di rimarcare in più frangenti è la propensione a evitare "un lavoro vero", così come, perfettamente in linea a questa filosofia, il suo cercare di "ottenere un risultato grandioso con il minor lavoro possibile". Il tutto è ovviamente giocato sul filo dell'ironia. La stessa con cui spiega il suo essere sempre concentrato sul presente e al contempo in una continua evoluzione. Al punto che gli risulta impossibile pensare quali potrebbero essere i prossimi ambiti di sperimentazione. "Quando mi vengono chiesti disegni esplicativi per una mostra che si dovrà tenere tra due anni - dice - l'unica soluzione è mentire: fare dei disegni che non contano nulla e che poi dimentico. Perché non posso nemmeno immaginare cosa penserò tra due anni".
In chiusura c'è anche il tempo per "le regole di Eno per le domande del pubblico": 1) Non fare domande più lunghe di quanto potrebbe essere la risposta. 2) Assicurati che la risposta alla tua domanda interessi oltre a te almeno un'altra persona nel pubblico. Perché, ironie a parte, se Eno è diventato ciò che è diventato è, non è solo per un estro fuori del comune ma anche grazie a metodo e disciplina. Rigorosamente britsh.