Il cantautore calabrese racconta a Tgcom24 il nuovo album
di Santo Pirrotta© Da video
Brunori Sas torna dopo tre anni e non delude le aspettative. “Cip” è un album vario ma non eterogeneo in cui si incontrano molte anime e vince la poesia. Non si è voluto confrontare con Sanremo e non gli dispiacciono le sardine. La tv e i suoi "comizi d’amore" lo hanno scaraventato giù dal divano e lo hanno aiutato a capire di più le persone. Perché in fondo, come racconta a Tgcom24, l’unica cosa che gli interessa è raccontare l’uomo. E intanto si prepara ad affrontare il tour nei palazzetti: “Cambia il contenitore, ma il contenuto è quello che conta”.
Perché Cip?
Volevo spaziare con un titolo che non avesse una connotazione particolare. Anche se in realtà ce l’ha. Ha a che fare con il disco per tanti motivi. Ad esempio il tono. Volevo raccontare più un sentire che un pensare. E volevo anche esprimere, in un’epoca di toni esasperati, un tono piccolo, un cip.
Tre anni sono tanti dall’ultimo disco: ti sei preso questo tempo fregandotene delle mode oppure avevi paura di non replicare il successo di “A casa tutti bene”?
Ho passato due anni in tour e non sono in grado di scrivere mentre sto facendo un’altra cosa. Ho lavorato su questo disco da aprile a novembre. Non ha avuto una lunga elaborazione. Fosse stato per me lo avrei fatto uscire tra cinque anni... ma è giusto così altimetri non si mette mai il punto nelle cose.
Hai sentito il peso delle aspettative?
No. Sono ambizioso nella misura in cui le cose che faccio devono essere puntuali nell’aspetto artistico. E' ovvio che quando una cosa è andata in un certo modo senti che c’è una aspettativa ma l’idea di non deluderla non deve essere una gabbia. Comunque no, non ho vissuto l’ansia. È un disco diverso, non mi volevo ripetere.
In “Per due come noi” dici “ti amo”, ormai è raro sentirlo in una canzone...
Sono spudorato. È un ti amo vero. L’ho detto proprio perché era vero.
È un disco diverso fatto di mille colori. C’è un filo conduttore?
È un lavoro corale. Cerco di tenere insieme molte anime. E non è facile, anche musicalmente. È un lavoro vario ma non eterogeneo. La connotazione alla fine è che tutti questi timbri stanno bene insieme.
Come si colloca la tua poesia in un mondo musicale dove vince il rap, la trap, dove se non urli non sei nessuno?
Rappresento una umanità che comunque esiste. Più silenziosa e che forse non riesce neanche a trovare uno spazio perché si sente mortificata da alcuni toni. In molti movimenti in realtà ci vedo una politica simile ma manifestata in maniera diversa. Nell’aggressività ci leggo sempre timore o fragilità o desiderio di attenzione che sono alla base di tutte le forme poetiche.
La tv ti ha aiutato?
Nella misura in cui ho dovuto fare i conti con delle cose che mi hanno strappato dal divano. Come le prime interviste. Ho imparato a superare il mio limite che è quello di essere molto pensatore ma di non confrontarmi con la realtà.
Il tour come te lo immagini?
Festoso. I palazzetti te lo impongono. Vorrei che le persone uscissero fuori come se avessero partecipato a un rituale che li ha scossi da un punto di vista fisico. È una dimensione diversa.
Non hai paura ad affrontare il palazzetto?
La lascio agli organizzatori se non vendono i biglietti... Alla fine cambia il contenitore. Devi spaventarti se non hai il contenuto.
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