Il dramma storico diretto da Brady Corbet ha ricevuto 10 nomination agli Oscar dopo aver vinto 3 Golden Globes e Leone d’argento a Venezia 81
Travolgente, fuori dal tempo ma che parla del nostro tempo nonostante sia un film ambientato negli anni 50-60. E' arrivato nelle sale italiane "The Brutalist" di Brady Corbet con protagonista Adrien Brody. Leone d’argento per la regia a Venezia 81, vincitore di 3 Golden Globes e nominato a 10 Oscar, è cinema di una volta come portata e ambizione, e ricorda gli anni 70 e la New Hollywood anticonformista nonostante abbia un budget minimo (circa 8 milioni di dollari). Grande cinema del nostro presente. Qualcosa che avevamo dimenticato. Ma esiste ancora.
Questa è l'odissea trentennale di Laszlo Toth, architetto ebreo ungherese, cresciuto alla scuola del Bauhaus, sopravvissuto al campo di concentramento di Buchewald e approdato negli Stati Uniti negli anni 50 con il sogno di mostrare con il suo genio all'America la bellezza del sogno. Dopo gli stenti condivisi con la moglie Erzsébet (Felicity Jones), trova la grande opportunità quando il magnate Harrison Lee Van Buren (Guy Pearce) gli commissiona un gigantesco monumento che dovrà celebrarne la gloria. Toth userà i riferimenti modernisti dello stile brutalista, autentica rivoluzione per la cultura americana, ma proprio quando crederà di poter toccare la vetta assaggerà il pane duro dello spietato capitalismo americano.
Colossal intimo dal grande impatto visivo, racconto fluviale, conturbante e coinvolgente, tre ore e mezzo (intervallo sulla pellicola stessa con un cartello e un conto alla rovescia) che passano in un lampo senza cedimenti e che assorbono lo spettatore in una storia melodrammatica, del sogno di un immigrato che può trasformarsi in un incubo e di come l’American Dream ti possa fregare, esaltata dalla pellicola 70 mm e dalle musiche di Daniel Blumberg. “Per alcune persone non è sufficiente possedere l’arte. Vogliono possedere anche l’artista", ha spiegato il regista. In architettura, il termine brutalista è applicato a un particolare uso del cemento armato (béton brut) e le sue opere sono caratterizzate da enormi strutture del tutto disadorne, simili a blocchi spesso impilati uno sull'altro e questo vale anche nel film dove c'è un gigantismo emotivo e strutturale senza troppe sfumature, descrivendo il bisogno primario dell’uomo che diventa scopo sociale della ricostruzione postbellica. "È in fondo un dramma del Ventesimo secolo - ha detto il regista statunitense Corbet - ci sono stati tanti architetti, ad esempio del Bauhaus, che non hanno potuto esprimersi e in quest'opera ho immaginato la storia virtuale di uno di loro. È un film in fondo dedicato agli artisti che non hanno mai realizzato la loro arte".
Adrien Brody ha vinto nel 2003 l'Oscar come miglior attore per "Il pianista". Un film che ripensandoci sembra quasi una tappa del suo personaggio per arrivare fino a quello interpretato in "The Brutalist". Qui è László Tóth, un personaggio inventato che unisce caratteristiche e stili di altri noti architetti come Paul Rudolph, Ludwig Mies van der Rohe, László Moholy-Nagy e Marcel Breuerin. Ma in realtà il nome adottato è quello del geologo australiano di origine ungherese che nel 1972 prese a martellate la Pietà di Michelangelo (scolpita nella cava di marmo di Carrara dove si svolgono alcune sequenze terrificanti del film). Ovvero come la creazione vada di pari passo con la distruzione.
Adrien Brody tra i favoriti all'Oscar quest'anno e dopo aver vinto il Golden Globe ha raccontato: "Ho pensato poi a mia madre che ha avuto una vita simile: lei e i miei nonni, sono venuti in America dall'Ungheria come il mio personaggio, anche lui è un immigrato ungherese. Tutta la loro lotta, le difficoltà che hanno passato...".