Esce venerdì 15 settembre "Prisoner 709", il nuovo album del rapper pugliese. Un lavoro complesso nato da un periodo di crisi
di Massimo Longoni© ufficio-stampa
A tre anni dal fortunatissimo "Museica", Caparezza torna con "Prisoner 709", un album che del predecessore è l'esatto opposto: tanto quello era un'esplosione di colori e tutto proiettato all'esterno quanto questo è un disco in bianco e nero e incentrato su se stesso. "Anche quando hai successo puoi sentirti in gabbia - racconta -. E così mi sono messo al centro in un percorso dentro la mia prigione mentale".
Il ritorno di Caparezza è sancito da un disco duro, ricco, denso di piani di lettura e di punti di vista. Come e più che in passato. Per rendere plastica la situazione personale che ha voluto fotografare con questo lavoro, il rapper ha presentato il disco in un'ex fabbrica della periferia milanese, mettendosi al centro di un doppio anello di giornalisti che lo circondava. "Per la prima volta in questo disco sono al centro" spiega.
E il perché di questa decisione è in un periodo di crisi fronteggiato negli ultimi anni. "Dopo 17 anni di dischi e di concerti mi sono sentito un po' intrappolato in questa vita - dice -. Ho voluto raccontare questo stato d’animo. Sono sempre stato ironico e divertente, lo sono ancora ma ci sono anche i momenti di crisi. Vorrei rassicurarvi, non sono depresso, ma si possono attraversare delle difficoltà".
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Il prigioniero del disco è lui, ovviamente, mentre 709 è un numero simbolico che si riferisce alle antinomie su cui sono incentrati i vari episodi dell'album, che in qualche modo si avvicina a un concept, quello incentrato su un percorso di autoanalisi dove ogni canzone rappresenta un capitolo del carcere mentale ("il reato", "l'ora d''aria", "la guardia" ecc.) nel quale Caparezza si è sentito intrappolato e al tempo stesso un'antinomia su termini di 7 e 9 lettere. "È tutto è un gioco su parole di 7 o 9 lettere. Prima di tutto Michele o Caparezza, Ma poi Ragione o Religione, Sopruso o Giustizia, Frivolo o Impegnato".
Per compiere il proprio percorso Michele Salvemini ha costruito 16 brani di grande complessità testuale, senza togliere spazio alla fruibilità. Questo grazie a un piglio rock ancora più spinto che in passato, e una molteplicità di livelli di lettura, che rendono il disco godibile per tutti: sia chi vuole approfondire sia chi voglia fermarsi in superficie. "Quando ho scritto questo album volevo mettermi alla prova - dice -. Vorrei che ogni lavoro avesse senso. Non posso pensare se per il pubblico può essere facile o no. Non voglio fare l'educatore ma è vero che certi testi possono sbloccare qualcosa: ho iniziato ad amare il rap con i Run DMC, ma a folgorarmi è stato Frankie Hi Nrg perché non usava un linguaggio semplice, e nei suoi brani trovavo termini di cui poi andavo a cercare il significato".
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A proposito di Run DMC, nel disco si trova Darryl Mac Daniels, in "Forever Jung", una delle collaborazioni di peso insieme a John De Leo e Max Gazzè. Tra i pezzi una particolare importanza la riveste "Larsen", incentrato su un problema fisico che ha afflito Caparezza dal 2015. "Parla del mio acufene, ovvero un fischio nelle orecchie al limite dell'insopportabile - racconta -. Tutte le cose belle ti tolgono anche qualcosa. Io ho questo deficit uditivo figlio della mia attività live. Questa cosa però ci sta perché sul piatto della bilancia metti anche quello che hai ricevuto".
Un album come terapia dunque. Per i mali dello spirito e per quelli fisici. Ma il risultato qual è stato? Operazione riuscita? "La soluzione è all’interno dell’album - spiega -. Il pezzo che apre il disco, 'Prosopagnosia' è lo stesso che lo chiude. Ma mentre la prima versione è angosciante, la seconda esprime serenità". Caparezza è fuori dal tunnel.