© Manuela Giusto
© Manuela Giusto
A Milano dal 9 al 28 aprile il nuovo spettacolo della compagnia
© Manuela Giusto
© Manuela Giusto
Dopo aver debuttato a gennaio ad Ancona, il nuovo spettacolo di Carrozzeria Orfeo conclude il tour di questa stagione all’Elfo Puccini di Milano. La compagnia ha esplorato nelle sue pièce di successo il mondo degli ultimi, dei reietti, degli esclusi e dei perdenti, ma in "Salveremo il mondo prima dell’alba", in scena dal 9 al 28 aprile, cambia l'orizzonte e indaga il mondo del benessere e dell’apparente successo. Il racconto dei primi, dei vincenti, della classe dirigente, dei ricchi, paradossalmente, però, vede i protagonisti imprigionati nello stesso vortice di responsabilità asfissianti, sensi di colpa e infelicità che appartengono a tutti e, quindi, frantumati da tutto ciò che la mentalità capitalista non può comprare: l’amore per sé stessi, la purezza dei sentimenti, gli affetti sinceri, la ricerca di un senso autentico dell’esistenza.
© Tgcom24
"Salveremo il mondo prima dell’alba" racconta la vita di alcuni ospiti in una clinica di riabilitazione di lusso situata su un satellite nello spazio, nuova meta turistica dei super ricchi, specializzata nella cura delle dipendenze contemporanee (sessuali, affettive, da lavoro, da psicofarmaci). Sono tutti vittime di queste e del proprio egoismo, prodotti di un mondo dove parole come comunità e gentilezza sono quasi bandite se non per essere strumentalizzate a fini propagandistici e commerciali. Ciò che ne rimane è un’umanità confusa e impaurita, sopraffatta dall’ossessione di questo continuo doversi vendere, con il terrore che nessuno ti voglia mai comprare. D'altra parte in un mondo sempre più individualista, dominato da un tempo schizofrenico e performativo, il prezzo da pagare anche per i vincenti sono l’angoscia e il terrore del fallimento che, oggi più che mai, portano le persone a soffrire di panico sociale, insonnia e insoddisfazione cronica.
Questa visione viene esplorata in pieno stile Carrozzeria Orfeo, attraverso un occhio lucido e, forse, disilluso, che coglie, con ironia e anche estremo divertimento, i paradossi, le contraddizioni e le deformazioni grottesche della realtà attraverso personaggi strabordanti di umanità, ironia e dolore. Lo spettacolo vuole raccontare una società sempre più triste, eppure satura di foto felici in cui non sembra più esistere un luogo dove riconoscersi come soggetti autentici, né tanto meno in progetti sociali che richiedano la nostra dedizione e la nostra lealtà.
L’unico comandamento sembra essere quello di produrre; l’errore è bandito, la sofferenza individuale è percepita come una vergogna, una zavorra da nascondere agli altri, come segnale chiaro di debolezza e fallimento; mentre in modo sempre più meschino e ingannevole va affermandosi la nuova eroica parola portavoce del capitalismo: resilienza. Nel cinico pragmatismo di questo sistema malato, in fondo significa solo: “Resisti nonostante tutto, ignora te stesso e il tuo dolore, nascondilo, non ascoltarti più e vai avanti. Produci, produci, produci!” E se non esiste limite alla produzione, anche individualmente, dai desideri soddisfatti nascono di conseguenza sempre nuovi desideri. Sempre più prepotenti, ossessivi e, spesso, indotti dal mondo esterno. Come se volessimo bere il mare di bicchiere in bicchiere. L'infinito. L'impossibile. Un impossibile ricerca senza tempo. Ed è da qui che viene il nostro dolore.