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Stroncato da un'overdose di un farmaco oppioide mentre era da solo nell'ascensore della sua villa-studio a Minneapolis
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Cinque anni senza Prince. Il genio ribelle della black music è morto il 21 aprile del 2016, stroncato da un'overdose di un farmaco oppioide mentre era da solo nell'ascensore della sua villa-studio a Minneapolis. Un finale di partita tristissimo per uno dei talenti più strabilianti della storia della Black Music e non solo. E mentre è in arrivo l'album postumo "Welcome 2 America", un disco che racchiude dodici brani inediti registrati a Paisley Park nel 2010, il "genietto di Minneapolis" "continua a nutrire le illusioni di tutti" come di lui disse Miles Davis.
Anche Davis, che aveva collaborato con lui in "Sign O' The Times", lo definiva un piccolo genio, "un mix di Marvin Gaye, Jimi Hendrix, Sly Stone, Little Richard, Charlie Chaplin... può essere il nuovo Duke Ellington. Prince è capace di conquistare chiunque perché capace di nutrire le illusioni di tutti", aveva dichiarato.
Un artista multiforme, il cui talento era in grado di esprimersi in tutte le maniere possibili: cantante strepitoso, chitarrista e pianistia di livello eccelso, ballerino dall'irresistibile carica sensuale, polistrumentista. Prince era una sorta di enciclopedia vivente della musica, capace di spaziare da Duke Ellington ai Led Zeppelin con grande disinvoltura. Nato come Roger Nelson, il 7 giugno 1958 a Minneapolis, si era nutrito sin da ragazzino degli umori della ribollente scena musicale underground della città. La Warner lo lo aveva adocchiato sin da subito, mettendolo sotto contratto a soli 19 anni, e a 26 sarebbe arrivato "Purple Rain", album da 13 milioni di copie in un anno, capace di vincere anche l'Oscar per la colonna sonora del film che ha lo stesso titolo dell'album.
Benché iniziata prestissimo la vita da star per Prince è stata tutt'altro che semplice, anche in virtù di un conflitto con l'industria discografica i cui toni sono cresciuti nel corso degli anni fino a sfociare nella guerra aperta che lo ha portato a rompere contratti miliardari e a ripudiare il proprio nome presentandosi come Tafkap (The Artist Formerly Known as Prince) o un semplice simbolo. Non sono mancate le improvvise svolte stilistiche, i flop e le stupefacenti resurrezioni artistiche. In mezzo picchi inarrivabili come "Sign O' The Times".
All'artista esplosivo sul palco faceva da contrappeso l'uomo riservato nella vita. Nella sua villa di Minneapolis aveva costruito i Paisley Park Studios, tre sale di incisione che erano considerate una delle meraviglie del mondo della musica registrata. Per anni si è favoleggiato delle migliaia di brani inediti custoditi negli studi. Proprio da quegli archivi, gli eredi hanno tirato fuori in questi giorni "Welcome 2 America", un album registrato nel 2010 in cui Prince fa un ritratto dell'America che sembra anticipare le drammatiche divisioni dell'era Trump. Nell'edizione deluxe c'è anche il video di uno dei 21 concerti tenuti in quell'anno a Inglewood, in California, al termine di un tour mondiale lungo due anni. Per i cultori, c'è anche l'edizione in vinile, con una quarta facciata da collezionisti.