Per il grande folksinger americano gli onori del "Tenco" e due date a Lucca e Como: "Ho tante canzoni nuove, il tempo non va più sprecato"
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“A survivor and a lucky man”. Un sopravvissuto e un uomo fortunato, David Crosby. Lo ammette, lo spiega lui stesso attaccando una settimana italiana che ha voluto fortemente vivere a dispetto di qualche acciacco sospeso tra i bronchi e di un cuore che, dopo molte acrobazie, chiede solo un po' di prudenza. Il grande folk singer californiano era in stand-by dopo la pubblicazione di “Croz”, album solista che ha (felicemente) rotto un incantesimo durato 21 anni, dal precedente “Thousand Roads”: dalle nostre lande è giunta una chiamata, per lui era pronto un invito del tutto speciale alle Targhe Tenco. E allora eccolo, sabato a Sanremo, con mini-esibizione allegata e quindi, tanto che ci siamo, due date, martedì a Lucca, mercoledì a Como, sempre salute permettendo. Ma il Crosby sereno, brillante, voglioso di spiegare il suo “second wind” – ma in realtà è forse il quarto, il quinto, il sesto – induce all'ottimismo tutti coloro che hanno determinato il sold out di entrambi i concerti. "Ed è un regalo essere ancora qui a fare musica, a lavorare ancora su un incredibile numero di canzoni. Essere sopravvissuto alla droga, ai miei errori è un mio merito; è stata una fortuna, invece, riuscire a superare i problemi di salute che ho avuto".
E l'esperienza, la consapevolezza di avere avuto in dono nuovo tempo per vivere, per creare e per suonare, a 73 anni, non è più da sprecare: né per questioni personali, né per ciò che accade fuori dalla finestra. Anche se l'impegno di sempre, quello espresso in così tante canzoni del periodo a lungo condiviso con Stephen Stills e Graham Nash, non è certo riposto in soffitta: “Non è vero, come ha scritto William Blake, che al palazzo della saggezza si arriva attraverso la strada dell'eccesso. L'eccesso, io lo so, porta solo ad altro eccesso; mentre l'unica maniera di arrivare alla saggezza è il lavoro. E non è più il caso di farsi prendere dalla rabbia, sprecare energie, farsi travolgere dall'adrenalina per le cose che non ti vanno, che non apprezzi. Avete visto cosa è successo ultimamente in America? Il caso di Ferguson? Una volta, avrei incamerato ed espresso molta rabbia per queste cose, oggi non lo faccio, non posso permettermi di sciupare del tempo per questo. Ciò non vuol dire che mi vadano bene determinate cose. Posso ricordare bene che quando abbiamo cominciato, la gente di colore in certi Stati non poteva nemmeno votare. E ancora oggi, il razzismo non è un problema risolto, negli Stati Uniti, la politica non ha fatto molto a questo proposito. Sono fiero di essere americano, non di questo tipo di aspetto".
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E' la voce di David Crosby, una voce che lui tiene a destrumentalizzare (“Non ho mai pensato di essere la voce di una generazione, sono stato la mia voce, e basta”), una voce che ascoltata tra le molte, piacevoli pieghe musicali di “Croz” è diventata ancora più pulita, levigata, gradevole di quanto lo sia mai stata perfino nei (presunti) anni d'oro: “E' vero, credo anch'io di essere migliorato, molti mi hanno detto che nell'ultimo tour compiuto con Stills e Nash ho toccato il mio apice”. Anche per questo, i due set italiani nati così, quasi per caso, sono appuntamenti speciali: “Mi piace suonare live, specialmente negli ambienti piccoli, nei teatri, nei club. Le canzoni sono racconti, cerco di spiegarle, provo a raccogliere come se fossimo in un salotto le persone che sono lì a sentirle. Siamo anche ormai obbligati, in qualche modo, a fare concerti. Siamo obbligati dalla nuova industria musicale, perché a causa della mancata comprensione da parte delle case discografiche della parola “digitale” e di cosa essa significava davvero, esibirsi è l'unica maniera di guadagnare. Per quanto mi riguarda va benissimo: adoro suonare, vivo bene, non ho problemi, ma la filosofia dello streaming è sbagliata. Penso, che so, a una mia canzone che magari viene ascoltata e copiata un milione di volte su Spotify: alla sera, io non ho nemmeno i soldi per pagarmi la cena. Penso sia profondamente ingiusta".
Ma il presente di Crosby, oltre che dai maledetti Mp3, è fatto di tante altre cose belle. Un figlio ritrovato, tanto per cominciare, con cui fare musica. James Raymond è il figlio naturale dato in adozione poi ripreso quando la strada, dopo molti dolori, è tornata a risalire: e siccome il Dna non è acqua di rubinetto, James ha riportato con sé la musica che evidentemente ha avuto sempre dentro: "E' un pianista, un musicista colto, costruito, istruito, mentre io sono un "analfabeta" musicale, lui è un compositore, io sono un songwriter. Ma insieme scriviamo così bene, e questo mi sta portando ad avere tante, tantissime nuove canzoni. Non so quando potrà uscire il prossimo disco, ma il progetto c'è, sto lavorando anche insieme a una nuova, straordinaria big band funky-jazz, gli Snarky Puppy, andatela a sentire anche su YouTube, vi farà smuovere dalla sedia". In tanta carne al fuoco, tuttavia, nessuno spazio - per ora, never say never - a un vintage atteso da milioni di persone: "Reunion di CSN&Y. No, sarebbe un po' sperare nella fatina del dentino. Amo Neil Young, ma è vero che ho avuto dei problemi con lui, abbiamo litigato, e me ne scuso la mia parte. Lui, comunque, ha detto più di una volta di non volere partecipare". Con un sospiro, ma ce ne faremo una ragione. Basta e avanza David Crosby, come è ora, saggio, pieno di cose, pieno di musica: "E' bellissimo essere ancora sul palco, vedersi davanti anche molti giovani. Perché la musica buona rimane, certe mie canzoni saranno qui anche molto tempo dopo di me. Vale per tutti gli artisti, penso a quelli che ho amato di più e che rispetto, Joni Mitchell, Bonnie Raitt, gli stessi Beatles, Bob Dylan. Puoi fare grandi spettacoli, fumi, grandi band alle tue spalle, robe pirotecniche. Ma se non hai una buona canzone da offrire a chi hai davanti, cno qualcosa dentro, non hai niente".