PROSTUTUZIONE VOLONTARIA IN "UNA CASA DI DONNE" AL PARENTI DI MILANO

Dacia Maraini: "C'è un preoccupante ritorno al razzismo... anche e soprattutto contro le donne"

Al Teatro Franco Parenti di Milano va in scena dal 17 al 27 gennaio il suo "Una casa di donne", testo dissacrante sulla prostituzione volontaria. L'autrice ne ha parlato a Tgcom24

di Antonella Fagà
16 Gen 2019 - 14:24
 © ipa

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Manila è una ragazza romana, laureata in filosofia, che decide di prostituirsi in una casa condivisa con due colleghe e amiche. Si vende consapevolmente, sa quello che fa e rivendica la sua libertà di scegliere, decidere, desiderare: gestire il proprio corpo. Di libertà, donne, sesso e dolore parla "Una casa di donne", testo profondamente femminista e dissacrante scritto da Dacia Maraini negli anni Settanta e in scena dal 17 al 27 gennaio al Teatro Franco Parenti di Milano con la regia di Jacopo Squizzato e l’interpretazione di Ottavia Orticello. "La libertà delle donne? Il femminismo è servito, ma oggi assistiamo ad un ritorno del razzismo: anche e soprattutto contro le donne", dice la scrittrice e drammaturga a Tgcom24.

Scritta negli anni d'oro dell'attivismo femminista, la pièce sradica stereotipi e solleva interrogativi, rileggendo, con l'acuta capacità di analisi e la raffinata poesia che caratterizzano la scrittura di Dacia Maraini, un tema scottante come la prostituzione.

Cosa è cambiato oggi?
Molte cose sono cambiate. Quando ho scritto "Una casa di donne" c'era il desiderio da parte delle prostitute di legittimarsi, di diventare padrone del proprio corpo, come atto provocatorio e dissacrante: vendersi volontariamente seppur per necessità. Chiaramente si trattava pur sempre di una libertà limitata, in una logica di mercato... una libertà dentro una non libertà. Oggi ci sono due tipi di prostitute, quelle che decidono di vendersi e lavorano ad un livello molto altro: si chiamano escort. E quelle, la maggioranza delle prostitute, che sono schiave, straniere per lo più, comprate e vendute in un mercato sempre più schiavizzante. Negli anni Settanta quel tipo di provocazione aveva un senso, era una rivendicazione di libertà, che ora non vale più...

Qual è il risultato di anni ed anni di lotta femminista?
Quella di oggi è senza ombra di dubbio una società più emancipata di 50 anni fa, ma non meno maschilista. Le donne occupano posizioni che una volta non occupavano, sono giornaliste, medici, politiche e anche se non ai vertici, hanno raggiunto livelli impensabili negli anni Settanta. Le donne sono più libere e ne sono orgogliose. Se parli con le giovani di oggi nessuna dice: "io sono una femminista", ma la loro libertà se la prendono eccome

E come spiega il femminicidio?
C'è ancora un mondo patriarcale che non accetta questa emancipazione femminile. Culturalmente, perché non ne faccio una questione biologica, queste libertà e autonomie conquistate dalle donne creano resistenze che diventano violenze. Certi uomini credono ancora nel possesso della donna e la sua libertà, la sua autonomia, provocano in loro reazioni violente. Prima il femminicidio non c'era perché l'uomo dominava ed era legittimato a comandare, adesso invece la donna dice "io me ne vado, sono libera" e questo suscita violenze terribili che arrivano al delitto.

Ma quindi non ci siamo mossi molto... E' un gatto che si morde la coda?
Non è vero che non ci siamo mossi. Ci siamo mossi tanto e abbiamo conquistato tante libertà.  Oggi in giro per il mondo le scienziate donne sono le più quotate ad esempio.
Solo che prima di far accettare queste libertà ci vuole tempo. Il mondo cambia, su certi aspetti, molto lentamente, soprattutto per ciò che riguarda le relazioni e questo perché ogni diritto conquistato è un privilegio perso, ogni libertà ottenuta è un privilegio per qualcuno che viene a mancare. I diritti sono legati ai privilegi e chi rischia di perdere i privilegi si oppone. Alcuni uomini capiscono e si adeguano. Quelli che usano la violenza sono invece i più deboli, non tollerano che la donna abbia autonomia e sia indipendente. Ma si cambia. Io sono ottimista anche se sono consapevole che la mentalità è molto lenta a modificarsi.

Cosa vuol dire per una donna essere libera veramente?
Non esiste una libertà assoluta e nemmeno una individuale perché ogni nostra libertà si deve confrontare con quella altrui e deve far compromessi con la società in cui vive. Non c'è una libertà assoluta. Io mi considero una persona che si è sempre battuta per la propria libertà e a volte l'ho pagata cara, ho dovuto fare compromessi.  Ma una cosa è importante: io non mi libero se non si liberano anche le altre donne. Una donna da sola non si libera, ci si libera piano piano insieme. Lo diceva Virginia Woolf ... ogni libertà è legata alla libertà collettiva

Quanti uomini "illuminati" su questo tema ha conosciuto nella sua vita?
Sono stata fortunata, ho vissuto e convissuto (devo dire che me li sono anche scelti) con uomini generosi, che rispettavano la mia libertà e ho avuto la fortuna e il buon senso di non mettermi con uomini tiranni

Qual è l'importanza del linguaggio nello sradicamento del sessismo e del maschilismo imperante?
Purtroppo stiamo regredendo, c'è un ritorno indietro incredibile e la spia è proprio il linguaggio misogino con cui si parla delle donne, soprattutto in politica. C'è un tono di disprezzo, svilente quando si menziona una donna, si parla di come si veste, di come si trucca, se è bella o se non lo è: la donna viene vista come un corpo e non come una persona.
Siamo tornati indietro c'è un preoccupante ritorno al razzismo, verso gli altri popoli, quelli diversi. Ma il primo razzismo purtroppo è anche contro le donne. Il linguaggio è simbolico ed è l'anticamera della violenza fisica, perché lo stesso linguaggio è già violento.

C'è una soluzione?
Essendo un fatto culturale, l'educazione, la scuola e gli insegnanti sono la chiave di volta. Devo ammettere che c'è una rete di insegnanti, che prescinde dall'istituzione scuola che non funziona, e che lavora benissimo in questo senso

Lei è una scrittrice, poetessa e drammaturga, quale linguaggio tra quello teatrale e quello narrativo preferisce?
Il lavoro letterario è solitario. Scrivere per il teatro vuol dire confrontarsi, è un lavoro di gruppo e a me piace moltissimo. Il teatro è molto più simbolico della letteratura. che è più realistica. Il teatro si presta molto di più alla politica, alla denuncia, può essere molto critico nei confronti della realtà e questo grazie alla sua carica simbolica. A me personalmente ha permesso di essere molto esplicita e diretta e di portare avanti la mia denujcia e la mia battaglia..

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