L'artista inglese presenta a Milano l'ultimo album, una lunga riflessione sugli oltre due anni di viaggio in giro per il mondo
di Luisa IndelicatoIn momento in cui politicamente la chiusura dei confini è diventata un vessillo anti-terroristico e in cui si storna l'attenzione mediatica sull'emergenza migrazione, Simon Green in arte Bonobo lancia il suo Migration - l'album è uscito il 13 gennaio - e fa della migrazione il concetto fondante della sua opera ma anche del senso stesso della vita. L'artista di Brighton rompe con i cliché mediatici e riflette sul concetto d'identità, che non è mai statico, e di come questo incida sulla mobilità dei luoghi. Bonobo presenta l'album stasera, 13 marzo, al Fabrique di Milano, unica data italiana (già sold out).
Migration rappresenta un diario di viaggio di oltre due anni in cui Bonobo ha percorso di lungo e in largo il globo, passando dall'Australia alla giungla della Cambogia, dall'India al Marocco, dal Canada fino ad arrivare alla sua ultima dimora ai margini del deserto di Los Angeles, rappresentata nella copertina dell'album, uscito a 4 anni del grande successo The North of Border.
"Mi accorgo che le identità dei luoghi si evolvono e cambiano e si modificano in base alle essenze di chi le percorre", riflette l'artista analizzando questi anni di viaggio senza fissa dimora, in cui le tracce sono nate su aerei o nei bagni di un albergo. In un mondo globalizzato gli incontri quindi continuano a trasformare l'anima della terra.
Nel Dna delle tracce c'è questo flusso inarrestabile. Il musicista ha rapito i suoni di cose e persone e i loro movimenti con un campionatore per poi ricamarli nei pezzi: dentro ci sono i rumori di locali di Hong Kong, quello della ventola per vani motore di una barca di New Orleans, il suono della pioggia di Seattle e il canto di sconosciuti in bar senza nome. "In quel periodo dove non vivevo effettivamente in nessun luogo, ho iniziato a registrare tutto ciò che mi sembrava interessante", spiega Green.
In Migration perciò emerge il movimento segreto della vita, come è evidente in Grains, traccia che richiama tanto le sonorità di Moby. Senza le micro-migrazioni la vita non avrebbe luogo e questo movimento a volte prende le sembianze di un violino, altre volte quelle delle onde del mare o di un beat di matrice marocchina, come accade in Brambo Koyo Ganda. In Outlier, invece, le rime della dance floor tornano in auge con un touch sofisticato e delicato alla Board of Canada.
L'intera opera, che vanta collaborazioni con Mike Milosh dei Rhye, Nick Murphy aka Chet Faker, Innov Gwana e Nicole Miglis, è un'amalgama di elettro, downtempo, dubstep e dance. "Ho pensato perché non fare un collage della mia vita? Perché non mettere una parte di essa e del mondo reale dentro?". Forse è per questo che Migration è, rispetto agli antecedenti lavori, un album sospeso, come una lunga riflessione sul senso della vita.