ARTISTA DI CULTO

David Lynch e la sua arte: uno sguardo sui lati oscuri dell'animo umano

Il regista scomparso a 78 anni è entrato nella storia del cinema grazie a film che hanno scardinato le convenzioni narrative tradizionali

di Massimo Longoni
17 Gen 2025 - 01:47
 © Ansa

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L’ultimo film di Steven Spielberg, "The Fabelmans", si chiude con una lezione di cinema: il grande regista John Ford, avvolto nelle nuvole di fumo del suo sigaro, dà una illuminante spiegazione su come effettuare l’inquadratura perfetta a un ragazzino che sogna di fare il regista. A dare volto e voce a John Ford in quella sequenza è David Lynch, in un'ultima, folgorante, apparizione. Da grande regista a grande regista, una scena in cui Spielberg costruisce un intreccio di omaggi, in primo luogo a Lynch stesso, seppure indirettamente.

Un regista che ha lasciato il segno nel cinema americano e mondiale come pochi altri negli ultimi 50 anni. Visionario, alternativo, avanti rispetto ai suoi tempi, intellettuale, grottesco e persino pulp. Ma anche capace di grandi momenti popolari. Uno su tutti quando nel 1990 ha riscritto le regole della serialità televisiva con "I segreti di Twin Peaks", realizzando una serie girata con tutti i crismi del grande cinema, elevando il mezzo televisivo senza per questo renderlo elitario, riuscendo a mescolare momenti surreali e onirici a un plot avvincente e pieno di mistero. Il tutto ottenendo ascolti impensabili. Una parentesi, quella televisiva, in tanti anni di grande cinema con una produzione non sterminata (dieci film in tutto) ma ad ampio raggio per generi toccati ed emozioni suscitate. Lynch sapeva essere urticante e straordinariamente poetico, criptico e didascalico, senza dimenticare che anche nelle situazioni più drammatiche o complesse il suo sguardo sul mondo e sulle vite umane era intriso di ironia. Quell'ironia che per esempio rende grottesca la violenza di un film come "Cuore selvaggio". 

Pur con una filmografia ristretta (dieci film nell'arco di trent'anni), Lynch ha creato un vero culto attorno alla propria opera dando modo a ognuno di avere il proprio Lynch del cuore: che sia quello più poetico e struggente di "Elephant Man" o quello emotivo e sensoriale di "Mullholand Drive", fino a quello cerebrale fino alle estreme conseguenze dell'ultimo "Inland Empire". Quello che conta è la capacità di Lynch di portare lo spettatore in mondi avvolgenti, spesso dilatati e privi di confini precisi tra reale e surreale, in grado però di lasciare tracce indelebili grazie a momenti visivamente potenti e intellettualmente stimolanti. La dimensione onirica diventa spesso un passaggio obbligato per attraversare quei mondi, una dimensione che si realizza rompendo le convenzioni narrative tradizionali, frammentando le trame, senza temere di risultare disturbante con suoni e immagini, usando anzi questi come grimaldello per aprire le porte sui lati più oscuri dell'animo umano. 

Artista a tutto tondo, ha perseguito la sua ricerca non solo attraverso il cinema ma anche con la pittura e la musica. Quest’ultima elemento essenziale in tutti i suoi film. Basti pensare al rapporto con Angelo Badalamenti, autore di molte delle sue colonne sonore, a partire da quella iconica di “Twin Peaks”. Musicista egli stesso ha esaltato e portato nella sua opera le proprie passioni musicali, da Trent Reznor e i Nine Inch Nails a Marylin Manson e David Bowie, prestando però la propria vena registica a un gruppo solo in un caso: nel 2011, quando diresse alla sua maniera, ipnotica e provocatoria, un concerto dei Duran Duran in diretta web da Los Angeles.

Lynch non è stato per tutti i gusti e per tutti gli stomaci. Non ha cercato compromessi e non ha fatto nulla per blandire il pubblico. Ma proprio per questo la sua opera ha marchiato fuoco la storia del cinema. 

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