Esce venerdì 17 marzo il nuovo album del terzetto inglese. Con una forte impronta politica non lascia spazio a momenti di leggerezza
di Massimo LongoniEsce venerdì 17 marzo "Spirit", quattordicesimo album in studio dei Depeche Mode. La band di Martin Gore, Dave Gahan e Andy Fletcher torna a quattro anni di distanza da "Delta Machine" con un lavoro duro, aspro e dai forti accenti politico-sociali, che segna la prima collaborazione con il produttore James Ford. La band sarà in concerto in Italia il 25 giugno allo stadio Olimpico di Roma, il 27 giugno a San Siro, a Milano, e il 29 al Dall'Ara di Bologna.
Quando in ballo c'è un gruppo con la storia del terzetto di Basildon, ogni nuova uscita pone una serie di interrogativi ineludibili. Il primo è se oggi, nel 2017, sia necessario un nuovo album dei Depeche Mode. La diretta conseguenza è se questo sia all'altezza di una storia musicale tanto importante. "Spirit" segue il controverso "Delta Machine", album all'epoca incensato quasi unanimemente dalla critica (meno da molti fan). La critica ha poi corretto il titolo come ha fatto la band, che di quel lavoro non ha realizzato un clone. Se là i riferimenti alle radici blues di moltissime composizioni di Gore (e Gahan) erano esplicite sin dal titolo, in "Spirit" si stemperano fortemente, per riemergere solo in "Poison Heart", che potrebbe benissimo essere un avanzo delle session di "Delta Machine".
Alla prima domanda il gruppo ha risposto realizzando un album che non fa melina né prova a vivere di rendita, ma si cala a piedi uniti nella nostra contemporaneità. Con il risultato di prendersi anche qualche rischio. Affrontare questioni socio-politiche dalle quali il gruppo si è sempre tenuto distante ha fatto sì che immediatamente, come avviene spesso in questi casi, iniziasse il tira e molla tra chi volesse annettersi il gruppo. Così Richard Spencer, un politico del movimento americano di destra Alt-Right, ha subito tentato di associare la band ai propri ideali, costringendo prima il gruppo a smentire asserendo una sorta di equidistanza da tutti, e poi Gahan a intervenire ancora più duramente associando l'estetica dei Depeche a un modo "socialista o della classe operaia". Da questo punto di vista "Spirit" è perfettamente coerente e la cosa che più lo contraddistingue dal suo predecessore è nell'adesione sonora al mondo che vuole rappresentare. Se "Delta Machine" era in qualche modo fuori dal tempo, "Spirit" prova a incarnare la crisi dei nostri tempi.
Da un punto di vista sonoro difficile parlare di ritorno al passato per un gruppo in cui, almeno da un certo momento in poi, passato e futuro non sono più esistiti cristallizzandosi in un eterno presente, che può essere ora più luminoso ora più opaco ma si ripete con coordinate precise entro le quali i fan si sentono a casa. Sicuramente la produzione di James Ford ha contribuito a dare un suono a tratti più asciutto, in qualcuni frangenti persino aspro, con le voci distorte al massimo possibile e la ritmica spesso nascosta sotto l'elettronica. Non è certo il suo essere a tratti oscuro quello che differenzia "Spirit" da buona parte delle opere precedenti, quanto il modo in cui questa oscurità viene declinata. Superato l'avvio rassicurante di "Going Backwards" e del singolo "Where's The Revolution?", ci si butta in acque non sempre conosciute. Non c'è malinconia quanto piuttosto rabbia, non c'è disillusione quanto voglia di riscatto. Si passa dalla dolente "The Worst Crime" all'urticante "Scum", dove la voce è talmente distorta da rendere difficile la comprensione delle parole. Mentre la martellante e metallica "So Much Love" lambisce il mondo industrial in maniera evidente. Persino un brano come "Eternal", nonostante il testo classicamente d'amore (al punto da rasentare l'ovvietà) cantato da Gore, assume connotati disturbanti con un tappeto sonoro al limite del dissonante. In "Cover Me" e nella sua lunga coda strumentale albergano persino echi di pinkfloydiana memoria.
Tirando le somme, al secondo quesito si può rispondere che "Spirit" sia pienamente all'altezza della storia in cui si va a inserire, risultando ampiamente sopra il livello qualitativo di alcuni dei lavori pubblicati negli ultimi vent'anni. Con pregi e limiti. Non tutto gira alla perfezione, qualche canzone mostra qualche punto debole e il crinale pericoloso su Gore e Gahan hanno posizionato l'album fa sì che dove non si trovi la giusta tensione la noia sia dietro l'angolo. Di sicuro è un lavoro impegnativo, che richiede pazienza e più ascolti. Unico lato, questo, in distonia con i nostri tempi dove la musica è fatta per essere usa e getta: buona al primo ascolto, dal terzo si può passare ad altro. Chi ci dedicherà del tempo potrà scoprire che anche nel 2017 i Depeche hanno qualcosa da dire. Per tutti gli altri l'appuntamento è per i concerti, per cantare "Enjoy The Silence" e "Just Can't Get Enough".