Al teatro Strehler è in scena, fino al 30 ottobre, una delle commedie più divertenti e dolorose del genio napoletano
di Roberto Ciarapica© Tgcom24
Quasi cento anni dopo la sua stesura, a 44 dalla Legge Basaglia che nel 1978 chiuse i manicomi, "Ditegli sempre di sì" (titolo allusivo, ai tempi del boom fascista) continua a far ridere e a pensare, forse più di allora, in epoca pòsto ergo sum. Del resto, come dice uno dei personaggi più riusciti dell'opera, don Luigino, "ciò che succede sul palcoscenico può sempre succedere nella vita, e viceversa".
E’ così che, in qualche modo, lo spettatore si ritrova in scena al Piccolo Teatro Strehler di Milano, dal 18 al 30 ottobre. Per la Compagnia di Luca De Filippo, Roberto Andò, regista abituato a destreggiarsi tra cinema e teatro, dirige la commedia in due atti che Eduardo scrisse nel 1927 per Vincenzo Scarpetta (titolo originario: "Chill'è pazzo").
Il pazzo si chiama Michele Murri (superbo Tony Laudadio, con tempi e toni alla Troisi), frettolosamente congedato dal manicomio e dunque di nuovo a casa con la sorella Teresa (Carolina Rosi), in cui ripiomba in un mondo sconosciuto, assai diverso dagli schemi dentro i quali è stato rieducato. Tipico interno piccolo borghese alla Eduardo: tre porte che si aprono e si chiudono.
Equivoci, fraintendimenti, menzogne, illusioni. Un'ora e mezzo di spettacolo sospeso fra commedia e tragedia, in cui quest'uomo all'apparenza educato e lucido - e invece mitomane della precisione e del linguaggio, incapace di comprendere metafore e iperboli - stravolge la vita del piccolo pirandelliano mondo in cui si ritrova frettolosamente immerso. Aderente al testo e ai timbri di Eduardo, Andò sguinzaglia sul palcoscenico dodici bravissimi attori (con il giovane Andrea Cioffi, ottanta anni dopo Peppino De Filippo, in un don Luigino applauditissimo).
"Ditegli sempre di sì" è una delle meno note - eppure più divertenti e riuscite - commedie di Eduardo, che al Piccolo, attraverso la fedele rilettura di Andò, esplora il labile confine tra normalità e pazzia. "In questa commedia dolorosa - spiega il regista -, Michele è un forsennato contestatore della vita e del suo senso, scardina tutti i filtri del vivere comune, a tratti ci fa quasi desiderare di essere lui".