L'attore racconta a Tgcom24 il suo personaggio nella pièce di Feydeau in scena dal 13 al 30 ottobre al Manzoni di Milano
di Antonella Fagà"Un capolavoro di geometria della comicità", così Emilio Solfrizzi descrive a Tgcom24 "Sarto per signora", la pièce di Georges Feydeau in scena dal 13 al 30 ottobre al Teatro Manzoni di Milano. "Mi sono divertito moltissimo ad interpretare un medico dell'alta borghesia francese che mente dall'inizio alla fine dello spettacolo... Chi può permettersi di fingere così nella vita reale, dove ci si impone di essere sinceri il più possibile?"
E nella pièce di Feydeau, rappresentata per la prima volta nel 1886, Emilio Solfrizzi veste infatti i panni del protagonista, il libertino dottor Molineaux, fresco di matrimonio, ma dai dubbi comportamenti coniugali, che pur di star con la sua amante si finge sarto per sfuggire al controllo della moglie. Con lui Viviana Altieri, Anita Bartolucci, Barbara Bedrina, Fabrizio Contri, Cristiano Dessì, Lisa Galantini, Simone Luglio ed Elisabetta Mandalari.
Valerio Binasco è l'abile direttore d'orchestra, traduttore, adattatore e regista di questo cast eccezionale, che si ripromette di far ridere e divertire sera dopo sera. Perché tra cambi d'identità, sotterfugi, equivoci e amori segreti in "Sarto per signora" in effetti si riderà parecchio, grazie ad una serie di simpatiche ed esilaranti gag, che coinvolgeranno tutti i protagonisti della pièce.
Emilio Solfrizzi cosa ti è piaciuto di più in questo spettacolo?
Mi sono divertito da morire a rileggere il testo e a riscoprire che è un capolavoro di geometria della comicità. E' impressionante come un autore possa concepire astrattamente una commedia come questa e la mia ammirazione per Feydeau ne esce fortificata. La cosa che più mi ha divertito è stata proprio interpretare un medico dell'alta borghesia francese che mente dall'inizio alla fine spudoratamente. Chi ha questo privilegio di mentire così nella propria vita in cui ci si impone di essere sempre sinceri? Ho fatto quindi una cosa che normalmente non posso fare.
Come è stato lavorare con un cast così assortito?
Non avevo mai fatto uno spettacolo teatrale con così tanti attori, avevo paura di dovermi cimentare con le personalità di ognuno di loro, perché ognuno di loro doveva confrontarsi con la mia comicità e piegarsi quindi a me, il capo comico. E' stato un'esperienza bellissima. Per alcuni di loro era la prima volta in un ruolo comico ed è stato bello lavorare su un testo scritto per il teatro, per attori che hanno voglia di fare comicità. Mi piace lavorare con i miei colleghi e cercare ogni sera di tenere vive le battute come se fosse ogni volta la prima volta...
Come intendi la comicità?
Amo la comicità libera da psicologismi e questo testo di Feydeau ne è proprio un esempio. Adoro la comicità non cerebrale, quella degli anni Cinquanta ad esempio, quella dei varietà e dei palcoscenici, quando la gente era distratta e gli attori dovevano attirare l'attenzione del pubblico con ogni tipo di escamotage comico. Non mi piace la comicità contingente, la satira legata al presente. Il comico vero è Totò ad esempio, Buster Keaton... loro sono immortali, perché io credo che la vera comicità sia quella di pancia.
Cosa racconta tra una risata e l'altra Feydeau?
Racconta la società dei nostri giorni, il familismo dei panni sporchi che si lavano in famiglia, tipicamente italiano, la società di oggi insomma basata proprio su falsità e apparenze. Feydeau, come tutti i geni, ha scritto una cosa che va al di là, ha scritto un capolavoro assoluto e immortale.
Come siete riusciti a rendere tutto questo nell'adattamento teatrale?
Binasco è stato geniale in questo. Abbiamo tolto ogni connotato temporale, non abbiamo ambientato la commedia alla fine dell'Ottocento, proprio per far venire fuori tutto il resto, c'è una citazione temporale vaga sul testo, perché non doveva essere importante. Anche nei vestiti e nella scenografia non ci sono riferimenti strettamente temporali. Quello che doveva venire fuori era la critica ad una mentalità, non dell'Ottocento ma delle popolazioni occidentali, sempre, una mentalità congenita.
Qual è il tuo rapporto con la comicità a teatro e al cinema?
Io mi sono formato in teatro come attore e non ho mai pensato di fare il comico, pensavo di fare l'attore. Che poi abbia fatto il comico è un fatto incidentale, che ho accettato con piacere perché mi piace molto far ridere la gente: una risata vale la paga della serata. E a teatro mi sento come un bambino con il barattolo della Nutella che è sempre un po' rubata, e ogni volta ho un po' quella sensazione lì. Il cinema è invece il mondo della meraviglia perché si concentrano tanti aspetti, e tutto concorre ad un unico obiettivo e tu comico ci sei, ma solo fino ad un certo punto. A teatro invece il pubblico ti chiede i documenti ogni sera, stare sul palcoscenico è un viaggio potente e irripetibile e il godimento che si prova una sera non sai se lo ripeterai nella sera successiva. Potrebbe essere maggiore o minore... Il teatro è unico
Da un po' di tempo c'è la richiesta a gran voce del ritorno di di Toti e Tata...
Sono commosso e onorato dall'affetto che la gente tributa a questo duo storico che è entrato nell'immaginario collettivo, non è affatto detto che non ritorni, ma non amo il sapore di nostalgia a cui quei due personaggi sono legati. Io sono proiettato al futuro. Toti e Tata sono legati ad un'epoca, ad una situazione storica e psicologica, non amo le operazioni nostalgie, sono spesso fallimentari...Se chiedessero il ritorno di Emilio e Antonio (Stornaiolo, ndr) sarei più motivato...