Il re del freestyle torna con un singolo “Tutto il mondo è quartiere” e annuncia un nuovo album di inediti in autunno. Tgcom24 lo ha intervistato
di Antonella Fagà© ufficio-stampa
A 3 anni da "Rock Steady", l'ultimo disco di inediti, che ha debuttato direttamente al n.1 delle classifiche di vendita, Ensi torna con un nuovo singolo “Tutto il mondo è quartiere”, primo capitolo, che anticipa il nuovo album in uscita in autunno: "Un disco profondo, sentito, con molte tracce che parlano di me e delle mie esperienze...", racconta il rapper, considerato il più grande freestyler italiano, a Tgcom24...
“Viviamo un tempo in cui non esistono più confini, tutto il mondo è quartiere, in ogni quartiere del mondo. Se come me vivi in una grande città lo vedi maggiormente ma è così ovunque", racconta Ensi. "Mangio in ristoranti orientali, compro casse d’acqua (e succo di mango) dal Bangla. La mia ex vicina di casa era del Cile, faceva delle empanadas incredibili. Ho due barbieri di fiducia, uno è Campano l’altro è Nigeriano. I figli del portiere del mio palazzo parlano filippino con lui e italiano con me. Tra i loro compagni di scuola ci saranno sicuramente ragazzi di ogni colore, razza e religione. Mio figlio andrà in una di quelle scuole. Ho filmato tutto con il grandangolo poi l’ho cantato su questo sound dei Ceasars che sembrava fatto apposta. Il brano suona come un inno, in un melting pot di idiomi e di immagini, ma è senza filtri. L’ho scritto per buona parte con un ordine temporale quasi preciso, quasi come a scandire una giornata x, ma sul finale ho voluto dare il mio punto di vista sul tema".
Con questo singolo ribadisci il tuo ruolo di songwriter, addio al freestyle e all'improvvisazione?
Ho puntato sul testo e sullo stile, il freestyle l'ho abbandonato già dall'altro disco, ma resta la mia carta e me la gioco nei live, è ciò che mi ha reso celebre. Ho vissuto il mio tempo come freestyler e ne ho tratto un grosso vantaggio dall'interesse che è esploso intorno all'improvvisazione. L'idea però adesso è di dargli un colpo di coda. Resta la mia carta però e la sento mia.
A quasi due anni dalla nascita di tuo figlio e a tre dall'ultimo disco "Rock Steady", quindi qual è il bilancio?
Nel mio ruolo di padre mi trovo benissimo, è una grande responsabilità, ma una gioia quotidiana, che solo i padri forse possono capire. Diventare padre ha influito anche sulla mia musica però, in maniera positiva naturalmente. E il mio nuovo lavoro ne è la prova. Non ho fatto un disco mirato in cui racconto come è bello mio figlio (anche se avrei fatto breccia su molte giovani coppie). Il disco risente del suo arrivo soprattutto nella maturità con cui sono stati espressi i concetti, nella visione matura con cui sono state scelte le produzioni e anche a livello musicale, ma soprattutto nelle tematiche. E' un disco in cui non mi sono risparmiato nel raccontare le mie cose personali. Del resto arrivo da tre anni di stop, durante i quali ho raccolto esperienze. Per raccontare delle cose avevo bisogno di questo, altrimenti si torna a fare una bella fotografia del momento che stiamo vivendo e ci si ferma lì...
© ufficio-stampa
Che disco ci dobbiamo aspettare?
Un disco profondo, sentito, con molte tracce che parlano di me e delle mie esperienze. E un disco che rappresenta la mia visione su quello che è l'hip hop in generale con una presa di posizione forte, in questo momento di spaccatura.
Spaccatura nel mondo rap?
Sì, viviamo nell'hip hop un'epoca molto punk. Quando ho cominciato col rap c'era un codice preciso, un abbigliamento, un modo, un atteggiamento... riconoscibili. C'era il rap e poi c'era il resto. Adesso c'è il rap in mezzo a tutto e c'è tutto in mezzo al rap. Io rappresento la solidità dell'hip hop e la voglia di dire delle cose attraverso il rap, che poi è forse una delle principali critiche mosse al nuovo hip hop, che è un po' povero dal punto di vista dei contenuti. Un problema mondiale, perché l'hip hop non è più la voce di qualcuno, ma è qualcosa di tutti.
E invece nel tuo disco...
Dentro al mio disco ci saranno brani opposti tra loro, ma il fil rouge sono le cose che mi hanno influenzato di più in questi tre anni. La musica è cambiata, sono cambiati i mezzi, le modalità di produzione... Non torno dicendo era meglio prima... ma dicendo torno con la stessa attitudine di prima, ma faccio la musica di oggi
E cioè?
Una cosa concreta. Io faccio la mia cosa nella mia maniera e sono sicuro che questo troverà spazio nei cuori di chi non si accontenta troppo, di coloro ai quali non basta la superficialità o una visione troppo young e cerca la profondità e i contenuti. Perché questa cultura rap ormai è entrata nell'era dei trentanni e io non voglio fare un disco per ventenni, facendo finta di esserlo, io di anni ne ho 30 e scrivo il rap alla mia maniera.
In "Tutto il mondo è quartiere" ci sono delle belle immagini e c'è lo stile, come si cade sul tempo ad esempio e c'è il contenuto. Magari le cose però non sono più scritte per tutti... devi leggere tra le righe, essere in grado di interpretare. E questo è possibile grazie all'esplosione trasversale che ha vissuto il rap in questo periodo. Ho trovato il massimo della mia espressione in questo disco. Il fil rouge che collega tutto però è la scrittura
Cosa pensi della scena rap italiana?
Ci sono cose molto belle e mi piace molto la visione un po' punk di questo momento, in cui si sta un po' ricostruendo tutto senza dogmi. Mi piace questo non portarsi dietro la zavorra, che avevamo noi. Mi piacerebbe però sentire qualcosa di nuovo, anche se si è capito qual è la formula, sarebbe bello cambiare, differenziarsi anche perché ci sono alle spalle 30 anni di rap italiano e si potrebbe far tesoro di questo.
Ci saranno featuring nel nuovo disco?
Ci saranno gli amici del mio giro, quelli che mi hanno sempre supportato e accompagnato. Ma cercherò di collaborare con coloro con i quali non ho mai collaborato...