AUTORE MA NON SOLO

Ermal Meta, oltre all'autore c'è di più: "Scrivere musica è un'urgenza ineludibile"

Dopo aver scritto brani di successo per Emma, Francesco Renga e Marco Mengoni, l'ex leader de La Fame di Camilla debutta con il suo album solista. Tgcom24 lo ha incontrato

di Massimo Longoni
04 Apr 2016 - 08:07
 © ufficio-stampa

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E' uno degli autori più apprezzati e le sue canzoni sono diventate celebri attraverso Emma, Francesco Renga e Marco Mengoni. Ma Ermal Meta è anche un cantante e, dopo l'esperienza con La Fame di Camilla, adesso prova la via solista con l'album "Umano", che contiene il brano presentato a Sanremo, "Odio le favole". "La voglia di dire qualcosa è un'urgenza ineludibile - dice a Tgcom24 -, in prima persona o con la voce di altri".

L'avventura solista è iniziata dal Festival di Sanremo, quello stesso Festival dove erano in gara artisti che negli ultimi anni hanno dominato le classifiche grazie a canzoni scritte da lui. Ma a Ermal è andato benissimo gareggiare nelle Nuove proposte, come fosse un debuttante. "Se un artista non è una 'nuova proposta' cos'è? - dice - E' vecchio? Un artista non deve mai smettere di essere una 'nuova proposta'. E poi non entrerei mai nella stessa categoria in cui ci sono Enrico Ruggeri, Patty Pravo, gli Stadio... Non me la sento, ho troppo rispetto per quel tipo di situazioni".

Finito il Fesitval Ermal si è buttato nel frullatore postsanremese, tra interviste, showcase, presentazioni del disco. "E' una cosa molto bella dopo tre anni di assenza in cui mi sono cimentato solo come autore sono tornato a metterci la faccia".

Tu hai vissuto il mestiere del cantautore in diverse declinazioni: da leader di una band, da autore per altri e come autore e interprete solista: c'è un elemento unificante in tutto questo?
Alla base di tutto c'è la scrittura, la voglia di dire qualcosa. Un'urgenza espressiva. La creatività è inconteninza spirituale. Se sei affetto da quella cosa, non riesci a farne a meno. Tutto il resto: se canti tu, cantano gli altri o sei in una band, è solo contingenza del momento. Deriva tutto dall'urgenza di dire qualcosa.

Come ricordi il periodo de La Fame di Camilla?
Essere in una band è una cosa molto particolare. In genere è il primo impulso che ha un ragazzino quando si approccia alla musica. Non ho mai sentito qualcuno a 15 anni iniziare e dire 'voglio fare il solista'. Però, come cantava Luca Carboni, "le band si sciolgono"... Nel mio caso sono stato molto fortunato. Con La Fame di Camilla ho avuto modo di calcare palchi importantissimi, da quelli più piccoli a quelli degli Aerosmith.

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Poi finita quella fase e hai iniziato a scrivere per altri.
Come autore ho lavorato con grandi. Mengoni, Emma, Renga, l'immensa Patty Pravo... Nel frattempo ho raccolto energie. Perché se lavori con persone in gamba ti arricchisci da un punto di vista professionale ma anche umano.

Hai detto che alla base di tutto c'è la voglia di dire qualcosa. Ma se questa cosa viene espressa con la voce di un altro per te è la stessa cosa?
All'inizio sentivo questa cosa come molto strana. Poi ho capito quanto fosse bello. Per un motivo sempice: quello che scrivo mette radici in me e nel momento in cui lo sento cantato da qualcun altro che ci mette la vita e la passione nell'interpretazione io non posso che sentirmi orgoglioso perché le radici sono anche in qualcun altro. C'è una parola bellissima che esprime tutto questo: condivisione.

"Umano" racchiude il lavoro degli ultimi tre anni. Intanto che scrivevi per altri mettevi da parte cose che sentivi più tue?
In questo periodo ho scritto molto e quando finivo quelle canzoni sapevo già che erano per altri spiriti. Invece le cose che riguardavano me non le finalizzavo mai, mettevo semplicemente da parte delle idee. E queste idee nell'ultimo anno hanno preso vita. Soprattutto nei quattro mesi prima dell'incontro con la Mescal e con il progetto Sanremo.

Arrangiamenti e suoni sono molto vari: si va da brani dal sapore spiccatamente anni 80 ad altri che guardano alla contemporaneità.
Ho cercato di fare è evitare di restare incastrato in un genere. Non ho mai sopportato le definizioni. Gli altri possono farlo ovviamente ma non devo essere io a castrarmi a priori. Quando sono all'opera lascio che le canzoni prendano la loro forma naturale. Ogni musica ha dentro il testo, e quello diventa canzone. E poi ogni canzone ha dentro il mondo sonoro al quale deve appartenere. Ho quindi cercato di essere il più libero possibile. Ci sono gli anni 80, come i 90 e i Duemila. Sono state le canzoni stesse a indicarmi la via.

Non ti interessa avere un quadro unitario?
Il quadro unitario viene dato dall'unione di tutte queste canzoni. Non è un caso che il disco si intitoli "Umano". Dentro di noi possiamo provare, anche all'interno di pochi attimi, sensazioni molto diverse. E tutto questo fa parte di noi. E allo stesso modo tutte le canzoni fanno parte della musica in generale.

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