Il cantante ha raccontato a Tgcom24 la pausa dal gruppo e la genesi del suo album essenziale e sospeso nel tempo
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Anticipato dai singoli "Il Bene", "L'abisso" e "Certi Uomini", esce "Forever" il primo progetto solista di Francesco Bianconi nato quando i Baustelle hanno deciso di prendersi una pausa. Prodotto da Amedeo Pace (Blonde Redhead), e registrato ai Real World Studios di Bath è un lavoro scarno, minimale e puro in cui il cantautore ha deciso di puntare sulla sottrazione, tirando giù la maschera. Come ha raccontato a Tgcom24, il punto di partenza è stato il binomio voce e pianoforte, senza la tradizionale ritmica, con pianisti come Michele Fedrigotti ("L'Era del Cinghiale Bianco" e "Fleurs") e Thomas Bartlett (Saint Vincent, Antony e The Johnsons) chiamati a supportare la sua nuova visione, oltre a un quartetto d’archi (il Quartetto Balanescu ensemble) e le voci ospiti di Rufus Wainwright, Eleanor Friedberger, Kazu Makino e Hindi Zahra.
Perchè un disco solista, cosa hai cercato fuori dai Baustelle?
Con il gruppo abbiamo deciso di comune accordo di prenderci una pausa biologica dopo i due dischi gemelli e tour. Un stop nel momento di acme per riossigenarci e con l'idea di ritrovarsi più in là. Io ho deciso di fare questo disco di canzoni più private e personali. Un esperimento. Venivamo da due dischi molto pop e arrangiati e avevo voglia di fare qualcosa che per contrasto e reazione fosse completamente diverso. Tutto è nato con questa idea di sottrazione, di andare all'osso, fare canzoni che fossero guidate da pochi elementi: la voce e il pianoforte.
Con che idea e confini di partenza è nato l'album? Qualcosa ti ha influenzato?
Le canzoni sono venute in maniera naturale e non pensando di scrivere cose diverse rispetto ai Baustelle. Sono partito pensando a me e all'idea di non dover avere troppe maschere e reti di salvataggio. I brani sarebbero stati più scoperti e nudi. Ho fatto molti ascolti all'inizio pensando proprio a questa spoliazione. come "Desertshore" di Nico e altri dischi suoi. Mi sono stati da guida e da buon esempio: una voce che guida tutto, sospesa dal tempo, in cui era stata abolita ogni ritmica. Mi interessava molto quella componente. L'idea iniziale è stata di mantenere voce e pianoforte e solo dopo abbiamo pensato di inserire il quartetto d'archi che non doveva far però discostare le canzoni da quel carattere estremo e radicale.
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Registrato in Gran Bretagna, prodotto da Amedeo Paci dei Blonde Redhead, il Quartetto Balanescu ensemble, due pianisti come Fedrigotti e Thomas Bartlett e voci come quella di Rufus Wainwright. C'è una precisa volontà che fosse un disco italiano ma internazionale?
Una volta praticata l'idea di vestire di poco la canzone l'abbiamo portata in sua dimensione primordiale, slegata da qualsiasi collocazione geografica e temporale. Mi intrigava molto questa caratteristica di sospensione dal tempo e dai luoghi. Per rinforzare questa idea ho pensato di coinvolgere lingue aliene all'italiano per aprire il disco al mondo. L'ho pensato infatti come album folk universale, fregandomene di questa cosa di restare confinati in Italia per via della lingua. Ho invece cercato di fare un album che potesse piacere a uno che sta a Cincinnati come a Hong Kong.
Senza il trittico basso-chitarra-batteria, spogliato, e con un mood di racconto, questo disco è una sorta di autoanalisi
E' incredibile, se togli la ritmica tradizionale sposti completamente il fuoco e l'attenzione per ascoltatore. E' tutta sulla voce e su di te. E' di certo più difficile, perché devi tenere questa attenzione sempre viva e devono succedere delle cose. Non legate necessariamente alle parole che canti ma alle espressioni: per questo devi cercare di dare delle emozioni.
Nonostante il periodo c'è l'idea di portare dal vivo questo disco?
Era nelle intenzioni fare una tournée teatrale con un quartetto d'archi, ma adesso tutto è stato riprogrammato per la prossima primavera. Nel frattempo vorrei fare dei piccoli set ridotti e corti, solo io e pianoforte, piccoli spettacolini confidenziali.