Il rapper ha pubblicato "Estate 2020", primo singolo che anticipa un nuovo album in arrivo a 6 anni di distanza dall'ultimo. Tgcom24 ne ha parlato con lui
di Massimo Longoni© Damiano Andreotti
"Estate 2020" è il singolo che segna il ritorno di Frankie hi-nrg mc a sei anni di distanza dall'ultima uscita discografica. Il racconto di un'estate italiana “surreale” tra luoghi comuni e la ricerca di un rifugio sicuro inseguendo la libertà e la serenità. Che forse possiamo trovare solo nella nostra mente. “La nostra testa sembra essere l'unico luogo in cui stare tranquilli - dice a Tgcom24 -, ma potremmo essere disturbati anche lì dentro".
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Reduce dalla pubblicazione del suo libro a cavallo tra la biografia e il saggio sulla nascita del rap con un affascinante gioco di rimbalzo tra storia Usa e storia italiana. Frankie si è ritrovato a fare musica quasi per caso. Galeotto è stato il lockdown, che ha dato modo a Frankie di raccogliere idee, emozioni e argomenti per un nuovo disco, di cui "Estate 2020" è solo il primo assaggio, distogliendolo da un altro progetto... "Stavo sì lavorando a qualcosa, ma non a un album, bensì a un romanzo - spiega -. Dopo avere pubblicato il saggio/biografia, mi è venuto lo spunto e mi sono messo al lavoro. Quando è scoppiato tutto il caos coronavirus ero circa a metà e con il lockdown mi è evaporata l'attenzione su qualsiasi cosa di creativo. Non riuscivo nemmeno a leggere un libro".
Quando si è sbloccato qualcosa?
Quando, in un secondo momento, Fresco, il mio producer di Città di Castello, mi ha mandato alcune basi su cui ho iniziato a scrivere delle cose. Base dopo base la cosa ha preso corpo e mi sono trovato con una serie di embrioni di pezzi, che andavano sviluppati ma che avevano un loro peso. E da lì è uscita "Estate 2020".
In questo modo è nata una canzone strettamente ancorata all'attualità.
Lo definisco un pezzo di "musica simultanea". Ha il dono di parlare di qualcosa che stiamo vivendo in questo momento. E non capita spesso in una canzone.
Nel brano dici che "per fare festa abbiamo un solo posto che resta: la testa".
La testa è uno strumento per affrontare la vita e le situazioni come quello che abbiamo dovuto vivere nei mesi scorsi. Ma la testa è anche l'ultimo vero spazio di libertà personale che dobbiamo preservare. Il vero rischio che abbiamo di fronte è quello della contaminazione del pensiero, che è molto più subdola e pericolosa della contaminazione virale.
Credi che incanalando buona parte del malcontento della gente in canali virtuali come i social sia stata messa la sordina a eventuali movimenti di protesta?
Non so se è stata messa la sordina alla protesta in musica. E' cambiato il linguaggio e forse sarebbe necessaria un'analisi dei testi odierni dei giovanissimi per capire esattamente cosa sta succedendo. Il fatto che uno non urli "sto vivendo un disagio", ma racconti qualcosa che esprime un disagio non è molto diverso. Per dire, un conto è un pezzo dove parlo del razzismo e della mia posizione nei confronti di esso, come "Libri di sangue". Ma se un artista di colore fa un pezzo dove racconta un aneddoto, vero e inventato che sia, in cui si desume sia stato vittima di razzismo, l'impatto è lo stesso.
Quindi non c'è da preoccuparsi?
Ciò che resta importante è la presenza dei valori. Purtroppo questi tempi stanno facendo la fortuna degli attaccabrighe. Oggi va di moda l'essere frontale, basarsi su un'informazione approssimativa e partire lancia in resta per propagare i propri contenuti. E questo regala visibilità, che sembra essere l'oro dei nostri tempi. Così molti scimmiottano questo modo di fare. Ma in quel caso quello che esce è livore, livore vero e non artefatto come quello dei professionisti.
In questa situazione come si fa a restare fedeli ai propri valori?
E' capitato anche a me di dare risposte livorose e poi di pagarne il prezzo, anche in termini di umore e di umore di chi mi stava vicino. Ma ho imparato la lezione e lascio scivolare. Purtroppo capita quando ti trovi dall'altra parte e devi affrontare problemi che una volta non c'erano. Fino a qualche anno fa il mondo del cinema, della tv e della musica veniva visto come qualcosa di irraggiungibile. Oggi la distanza abbreviata, il mettere in pubblico il proprio privato, fa perdere la magia, spesso anche alla propria opera. E molti si rovinano.
Niente da salvare?
In realtà non tutti i social sono così. Tik Tok, pur con i mille problemi che ha e che conosciamo, è un'oasi di buon umore. Lì ci trovo ostentazione di bellezza, a volte talento. Ci sono persone che si esprimono, scelgono una musica da mettere ai propri ricordi che poi spediscono al mondo. E' tutto molto leggero. C'è un account, Guanti rossi, che ha tradotto in linguaggio dei segni il ritornello di "Estate 2020". Questa sintesi drastica che diventa coreografia mi è piaciuta da morire. Cosa c'è di più bello di poter far ballare chi non sente?
"Estate 2020" è il primo brano di un nuovo album. A che punto sei?
Sono nel pieno della realizzazione. Ho un po' di pezzi pronti ma non abbastanza per poter far un album. Ma sai che c'è? Che non è importante. E' un po' che lo dico e ne sono sempre più convinto: bisogna tornare a lavorare come ai tempi di "Fatti mandare dalla mamma" di Gianni Morandi, quando si facevano solo dei singoli e poi, al massimo usciva un album in cui venivano raccolti e trovava spazio anche qualche canzone diversa.
Questa possibilità data dalle nuove tecnologie di lavorare quasi in tempo reale si adatta alla definizione di "musica simultanea" che hai dato di "Estate 2020"?
C'è molta rapidità tra creazione, realizzazione e messa in circolo. Ma il tema delle canzoni che mi capita di sentire non ha una collocazione temporale precisa, in generale non si parla dell'oggi. Si parla più nella contemporaneità che della contemporaneità.
Cosa pensi di alcune forme nuove di concerto pensate per ovviare alla situazione di emergenza, come quella di Diodato in mezzo ai prati in alta montagna o Salmo sul mare circondato da barche?
Che sono bellissime ma andando oltre l'idea di singolo evento bisogna capirne la sostenibilità economica. Anche perché nel nostro Paese c'è una scarsa educazione all'acquisto di contenuti... è un atteggiamento che sta cambiando ma è un po' connaturata. Quindi se viene a mancare anche il sostegno dei live diventa dura.
In questi anni di silenzio discografico ti sei misurato con un'altra forma di scrittura come quella del libro. Questa esperienza ha cambiato il tuo modo di usare le parole anche nelle canzoni?
Tra i miei album sono sempre intercorsi lunghi periodi di tempo e in mezzo ho sempre fatto cose diversissime che potesse rivitalizzare il mio interesse. In questo caso non so se è stato il libro ma c'è da parte mia un approccio diverso rispetto al passato. Sono più libero, non ho la pretesa di spiegare il mio pensiero pretendendo che gli altri lo capiscano e lo condividano. Sono venuto a patti con il fatto che ognuno in una mia canzone può vedere ciò che vuole. Utilizzo le parole in maniera più libera, senza volermi sostituire all'ascoltatore nella comprensione del testo. D'altronde uno parla per poter essere frainteso.
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