NUOVA VITA SOLISTA

Gary Kemp va oltre gli Spandau Ballet: "Sulle band degli Anni 80 troppi pregiudizi"

Il chitarrista e leader della storica band ha appena pubblicato l'album "INSOLO", secondo lavoro solista della sua lunga carriera. Tgcom24 lo ha incontrato

di Massimo Longoni
22 Lug 2021 - 12:02
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© Joe Magowan
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E' stato uno degli artisti simbolo degli anni 80 come chitarrista e mente degli Spandau Ballet. Per Gary Kemp però quella storia è ormai dietro le spalle. Ha appena pubblicato "INSOLO", il suo secondo lavoro solista che arriva dopo due anni in tour con i Nick Mason's Saucerful of Secrets.  "Un'esperienza che mi ha dato fiducia nei miei mezzi come chitarrista e come cantante - spiega a Tgcom24 -. Essere accettato da un universo musicale molto esigente come quello dei fan dei Pink Floyd, non mi ha fatto altro che bene".

A Gary Kemp ci sono voluti venticinque anni per dare un seguito a "Little Bruises", il suo debutto solista. In mezzo ci sono state esperienze cinematografiche, una reunion con gli Spandau Ballet che ha portato due tour di grande successo, un film celebrativo e nuove devastanti liti, e un'inaspettata quanto corroborante collaborazione con il batterista dei Pink Floyd Nick Mason che lo ha coinvolto come chitarrista e voce principale del suo progetto Nick Mason Saucerful of Secrets. Due anni in tour in cui Gary ha avuto modo di dimostrare a un pubblico lontano anni luce da quello degli Spandau di non essere solo un "bel faccino" più attento alle mode che alla musica. E da qui è arrivata la spinta per mettere insieme un gruppo di canzoni che si basa su due temi predominanti: il paradosso della solitudine in un paesaggio urbano e la sua crescente ossessione per il passato e di come quest'ultimo sia in grado di influenzare il nostro presente.

Come mai hai lasciato passare tanto tempo prima di un nuovo album solista?

Credo di non essermi visto come un artista solista per moltissimo tempo. Avevo una ragione davvero importante per pubblicare il primo lavoro, ed era la fine del mio matrimonio, poi era arrivato lo scioglimento del gruppo. Gli Spandau Ballet sono stati una cosa molto difficile da superare, continuavano a tornare nella mia vita, di continuo, e a lungo ho fatto in modo che questo avvenisse. C’erano anche altre cose che mi hanno spinto a lungo a smettere di pensare di scrivere un disco solo per me stesso. Poi è arrivato il momento giusto. Quando ho iniziato a scrivere mi sono chiesto perché non avessi fatto altro fino a quel momento. Perché mi è davvero piaciuto, per quanto mi riguarda è il momento creativo più godibile che io abbia mai vissuto.

© Joe Magowan

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Qual è stato l'elemento decisivo che ti ha spinto a metterti al lavoro?

Credo che questo disco questo sia figlio della fiducia nei miei mezzi come chitarrista e come cantante che mi ha dato il suonare nella band di Nick Mason. L’essere stato a lungo con lui, il venire accettato da un altro universo musicale, molto esigente come quello dei fan dei Pink Floyd, non mi ha fatto altro che bene. Mi ha dato la forza per dire addio agli Spandau Ballet e muovermi in un’area musicale diversa. Inoltre suonare e cantare musica scritta da altri mi ha dato ancora più voglia di scrivere cose mie e cercare di esprimermi attraverso le mie canzoni.

Molti artisti che hanno avuto successo negli anni 80 hanno dovuto combattere per anni contro lo scetticismo della critica. La vivi come una piccola rivincita?

Su questa cosa inviterei a fare attenzione perché per anni c’è stato un atteggiamento sessista da parte della critica. Se una band si presentava bene e aveva un pubblico principalmente femminile veniva subito stroncata e considerata incapace di suonare. Di contro se c’era un gruppo non così affascinante come immagine ma con un pubblico prettamente maschile, immediatamente veniva considerato degno. Penso a un gruppo come i Duran Duran: scrivevano le proprie canzoni, decidevano come dovevano essere i loro video o che tipo di immagine dovevano avere. Avevano vent’anni e avevano il controllo completo della loro attività creativa. Non erano come le boyband. Ma nonostante questo erano considerati dalla critica dei bambocci incapaci. Mentre gruppi come i Pink Floyd, al di là del merito musicale, solo per il fatto di essere non alla moda, di non badare al look, avevano un credito già in partenza. 

E tu come ti sei sentito a confrontarti con un pubblico che ti aveva sempre guardato con diffidenza?

Ho dovuto compiere un lungo percorso per passare dal chitarrista che scriveva che le canzoni degli Spandau Ballet al chitarrista che suona i brani che suonava David Gilmour e canta le canzoni che cantava Syd Barrett. Ho dovuto tirare fuori una parte di me che era rimasta sempre in qualche modo privata. Perché come autore e chitarrista degli Spandau non ho mai scritto grandi assoli, ero sempre al servizio della canzone. D’altronde negli anni 80, a meno che tu non fossi in un gruppo metal, gli assolo di chitarra non erano così alla moda. Credo che questa esperienza mi abbia regalato un surplus di credibilità che mi ha permesso di esprimermi musicalmente in un modo inedito. E alla fine penso di essere riuscito a fondere in un unico album la musicalità dei Nick Mason's Saucerful of Secrets e degli Spandau Ballet.

Come sei entrato nel progetto di Nick Mason?

Lo conoscevo da anni grazie al bassista Guy Pratt, che ha suonato per anni con David Gilmour e con i Pink Floyd. Quando Nick ha iniziato a pensare a questa band dedicata alla musica dei primi album dei Pink Floyd mi ha chiesto se mi sarebbe piaciuto farne parte. Abbiamo fatto un po’ di prove e un concerto di fronte ai nostri familiari e agli amici. E’ stato davvero eccitante. Essere su un palco, potermi esprimere come musicista senza il fardello del passato sulle spalle è stato davvero liberatorio. 

Quando hai iniziato a scrivere le canzoni del tuo disco?

Ho iniziato a scrivere mentre ero in tour con Nick e ho composto una quantità enorme di musica.Credo di aver scritto il primo brano nel 2018 ma l’idea dell’album ha iniziato a prendere forma nel corso del 2019. Ho iniziato a scrivere prima molti testi, durante i trasferimenti in aereo, avevo molte esperienze da raccontare. Mi è successo qualcosa, è come se creativamente si fosse sbloccato qualcosa dentro di me. Con gli Spandau ho sempre scritto prima le musiche per poi cercare di trovare un testo adeguato in cui Tony si ritrovasse, quindi non potevano mai essere testi troppo personali per me. In questo caso invece era fondamentale per me dire chi sono, raccontare del mio passato e di come ha fatto di me l’uomo che sono oggi. E anche aprirmi sui miei dubbi: sono troppo vecchio per questo lavoro? O per avere una relazione con una donna bella come mia moglie? Amo ancora la musica ma avevo tante domande nella mia testa. Le ho messe giù e poi ci ho costruito attorno la musica. Molte sono nate nella mia casa di Londra al pianoforte.

Per un chitarrista sembrerebbe un modo inusuale di comporre...

Solo una canzone del disco è stata scritta con la chitarra. Negli anni 80 componevo quasi esclusivamente con la chitarra, oggi invece uso molto il pianoforte che trovo più espressivo per me, riesco a trovare più cose. Ci sono canzoni come "Too Much" che sarebbero quasi impossibili da comporre con la chitarra, trovare quegli accordi sarebbe più arduo. Anche "Ahead of the Game" nasce da un riff pianistico.  

Dopo essere partito dai testi, le musiche quanto sono state influenzate dall'esperienza con Nick Mason?

Essere stato immerso per mesi e mesi in quel genere di musiche è stato fondamentale soprattutto nell'autorizzarmi a osare cose per me prima impensabili. Mi sono permesso di fare una canzone come "In Solo", con una lunga parte strumentale, perché sapevo che ora la gente mi conosceva anche per quello. Io sono una persona “teatrale”, penso in maniera molto cinematica, sono anche un attore, e ho anche immaginato le canzoni in questo modo. E il fatto di aver scritto prima i testi ha fatto sì che la musica prendesse forma sapendo già che tipo di sensazioni dovesse trasmettere. 

Molti testi parlano del tuo rapporto con il passato.

Credo che per tutti sia la stessa cosa. Credo che quando raggiungi una certa età e hai più vita dietro le spalle di quanta ne abbia davanti a te, inizi a porti domande su quanto tu sia ancora rilevante. Come essere umano, ma anche come musicista, come amante. Ci sono canzoni che parlano di questo come "I Am the Past" o "Waiting for the Band".

Quest'ultimo è il brano in cui in maniera più forte entra la storia degli Spandau Ballet.

E’ un pezzo che mi è venuto di getto al pianoforte. In realtà chi canta è il me stesso ragazzino di 13 anni, così eccitato dalla musica, affascinato dagli artisti che vuole emulare, che sogna di essere loro. Poi nella sezione centrale siamo noi, all’Hammersmith Odeon di Londra o da qualche altra parte, all’apice. E nella parte finale sono sempre io, sono sempre quel ragazzo che aspetta quel momento, che vuole farsi trasportare dalla musica. Questo è stato l’ultimo dei primi tre pezzi che ho scritto e credo sia stato decisivo per risolvere delle cose dentro di me. Ho capito come porto dentro di me ancora le stesse ambizioni che avevo da ragazzino.

"Waiting for the Band" è l’unica canzone in cui tuo fratello Martin suona il basso. Come mai?

Siamo stati ragazzi insieme, abbiamo visto così tanti artisti insieme. Ed è la persona con cui sono stato più a lungo in un gruppo, anche se adesso non lo siamo più. Nel pezzo potevo riferirmi agli amici con cui andavo a vedere i concerti, ma anche quelli con cui ero in una band. Così nessun altro avrebbe potuto suonare il basso in quella canzone.            

Nell’album ci sono diverse collaborazioni di prestigio. In un pezzo alla batteria c’è Roger Taylor dei Queen.

Uno dei benefit di fare un disco solista è che puoi usare diversi musicisti a seconda dei pezzi. Con Roger ci conosciamo da tempo. Sapevo che era fermo, come tutti, a causa della situazione pandemica e così gli ho mandato alcune cose da ascoltare. Abbiamo lavorato a distanza per via del lockdown ma oggi è comunque abbastanza comune e in fondo non è molto diverso dall’essere in studio, quando il batterista è in sala e tu nella sala di controllo. Averlo sul disco è stato un vero regalo per me.

Hai in mente di portare live queste canzoni?

L’idea c’è, ci siamo già trovati e abbiamo suonato qualche pezzo di prova. Diciamo che sto mettendo in piedi un nuovo gruppo e non ci sono progetti definiti, vivo alla giornata. Inoltre ho già un impegno fissato con Nick per tornare in tour per sei mesi a partire da dicembre, quindi si tratterebbe anche di incastrare le cose. 

Per chiudere: dobbiamo considerare la storia degli Spandau Ballet finita per sempre?

Sì. Era troppo difficile, siamo diventati persone troppo diverse. Ritrovarsi dovrebbe essere divertente e invece alla fine era sempre faticoso. L’unica cosa che mi avrebbe spinto a riprovarci sarebbe stata fare nuova musica, un vero album, non solo tour e due o tre pezzi qua e là come accaduto negli ultimi anni. Per un certo periodo ci ho creduto, è stata la mia ambizione, ma non è più possibile.

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