Il cantautore racconta a Tgcom24 il suo percorso partito da Sanremo 2021 e arrivato al suo debutto discografico
di Luca Freddi© Ufficio stampa
Nel 2021 ha vinto il Festival di Sanremo nella sezione "Nuove proposte". "Polvere da sparo" lo ha fatto conoscere al grande pubblico. Poi negli scorsi mesi sono arrivati due singoli "100 kg di piume" e "Oltre le onde". Ora per Gaudiano è arrivato il tempo di esordire con un album, intitolato "L'ultimo fiore". A Tgcom24 ha raccontato tutto il percorso che ha fatto dal palco del Teatro dell'Ariston fino al primo disco, passando per la pandemia, il cantautorato, l'amore, la morte del padre, il teatro (sarà in scena da novembre al Teatro San Babila con "Una volta nella vita (Once)") e finalmente i concerti dal vivo.
Facciamo qualche passo indietro e torniamo a Sanremo 2021. Cosa ha rappresentato per te la vittoria nella Nuove Proposte?
Volendo fare una considerazione a posteriori ha rappresentato sicuramente un trampolino di lancio. Ma un lancio a mezz'aria a causa del Covid e di tutte le restrizioni che ci sono state che hanno notevolmente contaminato la serenità di quel periodo. Un periodo in cui avrei dovuto fare una serie di concerti sullo strascico di Sanremo che avrebbero avuto una partecipazione diversa dato il momento di pubblicità che ti garantisce una manifestazione come quella. Al di là di tutto è stato bello vivere quell'esperienza. Mi sono confrontato con un palco che non ha zone di comfort, problematico sotto il punto di vista dell'ansia e dell'adrenalina. Ma sono riuscito a godermela. Ho un bel ricordo, per la vittoria ma anche per aver cantato la canzone su una tematica che tanti, come me, hanno vissuto.
Dopo il Festival immagino che ci sia stato un carico d’attenzione su di te, è stato positivo o negativo?
Credo negativa perché il mio era un progetto nativo. Nell'anno del festival avevo appena pubblicato i miei primi due singoli, a settembre. Da lì a poco c'è stata la possibilità di presentare una canzone per Sanremo e io non mi sarei mai aspettato un'escalation del genere. Mi aspettavo di dover fare un percorso più lungo e intricato per raggiungere un palco come quello. Mi sono ritrovato lì ed è stato tutto molto veloce, e questa cosa non mi ha permesso di lavorare a un disco. Quando è finito il Festival io non avevo un disco, ma solo quella canzone. Credo che Sanremo debba essere affrontato con un paracadute perchè altrimenti si rischia di disattendere le aspettative. E dall'altra parte c'è sempre troppa aspettativa verso i cantautori: bisognerebbe che l'ambiente cercasse di far respirare gli artisti. Quando si costringe e dover produrre per forza diventiamo degli automi, e viene meno il valore artistico.
Cosa è successo da lì? Qual è stato il tuo percorso della tua musica fino a qui?
Mi sono dedicato alla scrittura, ho cercato di mantenere i nervi saldi e focalizzarmi sui messaggi da voler veicolare con la musica. Mi sono concentrato sull'osservare i rapporti umani in generali rispetto alle situazioni di fronte alle quali la vita ci metteva. E questo è un disco incentrato sui rapporti umani, sull'amore. Credo che il cantautorato abbia bisogno di parlare amore che oggi per me significa di aver coraggio di portare avanti le relazioni. Fuggire da un concetto di amore idealizzato dei nostri ricordi. La società è sempre più egoriferita ed egoista e anche sotto un punto di vista sentimentale si preferisce sempre di proseguire da soli per salvaguardare la propria individualità invece di cercare soluzioni in quelli che sono i rapporti. Credo nella forza eroica di amare, oggi. Il disco, non mi vergogno a dirlo, parla d'amore, una tematica cantautoriale impegnata come la politica una volta.
Spiegami il titolo dell'album, "L'ultimo fiore", è un titolo malinconico, una fine?
La malinconia è qualcosa viene fuori dall'intereccio di più sentimenti, la gioia e la tristezza che si mescolano. Vuole essere un titolo che va a rappresentare la chiusura di una tracklist ma anche di un cerchio che parte con quello che c'è stato prima, "Polvere da sparo" o "Rossetto" e poi si evolve, fino ad arrivare a "L'ultimo fiore" che è il voler guardare avanti ma accostarsi all'argine: tutto questo scorrere continuo è non solo ansiogeno ma anche controproducente per l'arte e "L'ultimo fiore" vuole essere il simbolo di una pietra sopra. Porgere un ultimo fiore su qualcosa che dobbiamo lasciare andare per guardare avanti. Io mi riferisco a quello che è stato con mio padre, come ho elaborato il lutto e come la mia vita sia diversa senza di lui, ma sempre con lui sotto un punto di vista dei ricordi. Non voglio che la mia sofferenza faccia riferimento a qualcosa prettamente materiale e in questo modo il disco vuole dire basta a un rapporto materiale.
Nel disco c'è anche "Polvere da sparo". E' una chiusura di un cerchio? Un percorso che termina dov'è iniziato (a Sanremo)?
Assolutamente sì ed è come se stessimo parlando di un 45 giri, "Polvere da sparo" sarebbe il lato A e "L'ultimo fiore" il lato B. Due lati che vogliono raccontare prima un sentimento di rabbia di una domanda che torna a martellarmi che è quella del perchè. E invece oggi dico che le cose vanno avanti ma che è giusto fermarsi a pensare, non dimentichiamoci di essere umani e non macchine. Due lati della stessa medaglia, è il momento di guardare avanti anche oltre quello che rappresenta "Polvere da sparo".
Ed è anche il fil rouge che lega i 10 brani?
Assolutamente sì. Ci sono canzoni che usano il pretesto della quotidianità per parlare di un amore più universale e trasversale, Che non è solo quello tra due persone che si amano, ma anche rapporto genitoriale e di amicizia, quindi un amore a 360 gradi.
Dall'estate sarai in giro finalmente dal vivo, anche per recuperare quelle due date che sono slittate?
Esatto, poi il 24 settembre ci sarà la data zero a Foggia al teatro Umberto Giordano. Ho voluto fortemente ripartire da qui. Volevo un momento di connessione con la mia città e la mia terra. Da quando ho fatto Sanremo non ho mai avuto possibilità di tornare a Foggia a cantare le mie canzoni.
Raccontaci della tua partecipazione allo spettacolo "Una volta nella vita (Once)". Che personaggio interpreti e com'è nata questa collaborazione?
Nel 2019 ho fatto i primi provini per la Compagnia della Rancia. Non è uno spettacolo semplice, per la prima volta in Italia si alza l'asticella, si portano in scena dei musicisti cantanti e danzatori. La musica per la prima volta fa parte della storia, non come canonicamente nei musical si è abituati a vedere l'orchestra o l'intervento delle basi. Invece in "Once" lo spettacolo musicale diventa prosa, la musica fa parte della storia e i personaggi sono realmente musicisti nella storia e suonano anche degli strumenti nella loro stessa "vita". Lo spettacolo parla di un ragazzo e una ragazza che migliorano le vite l'un dell'altro, aiutandosi. E' una storia molto bella che lascia con il dolce-amaro in bocca, molto reale e cruda, ci si commuove e si ride. Io interpreto "Ragazzo", mentre Jessica Lorusso è "Ragazza".