L'INTERVISTA A TGCOM24

Ghemon rimane unico e unisce stand up e musica nell'album "Una cosetta così"

L'artista torna con un nuovo progetto, tratto dal suo spettacolo omonimo che ha portato in giro per l’Italia negli ultimi due anni, con oltre 70 repliche. Il racconto della nuova fase della sua carriera

di Luca Freddi
19 Gen 2025 - 11:18
 © Danijel Cvijic Dic

© Danijel Cvijic Dic

Ghemon torna con un progetto unico in Italia, a distanza di quattro anni dal suo ultimo lavoro discografico. "Una cosetta così" è il nuovo album che sfida le convenzioni unendo stand up comedy e musica. Che è anche il titolo dello spettacolo che ha portato in tour nell’ultimo anno per oltre 70 date, scritto insieme a Carmine Del Grosso. Un disco che fugge a un definizione precisa e si muove partendo da un' idea nuova di racconto e diario personale, e una parte comica, mischiando generi all'interno dei quali non ha abbandonato la sua anima musicale ma è integrata all'interno attraverso cinque brani che fungono da pause dei monologhi e che mostrano ancora una volta una il suo eclettismo e raffinata verve tra hip hop, jazz e soul. Ecco il racconto a Tgcom24 della nuova fase della sua carriera.

Raccontaci prima di tutto come arrivi alla stand up? Quando ti ho incontrato nel 2019 all'Home Festival eri in un momento introspettivo e un po' buio, quindi mi ha sorpreso dopo qualche anno vederti su un palco per far ridere il pubblico

Io arrivo alla stand up tantissimi anni fa. La prima esperienza, in cui so cos'è e mi piace, risale al mio viaggio negli Stati Uniti nel 2012. Sto dietro a questa forma d'arte da tanto, però una cosa è l'essere utenti è una cosa è mettersi a farla. Negli anni, durante le mie interviste, dicevo di essere appassionato di comicità, che leggevo solamente libri comici, e guardavo spettacoli di stand ma sembrava più che altro una nota di colore. Invece tutto portava là. Dopo tanti anni continuavo a vedere che nel meccanismo di certa stand up c'erano cose che pensavo, c'era affinità con il mio senso dell'umorismo ed ero una persona che sta sul palco e a cui piace provare a comunicare quello che pensa. Il fine è assolutamente la risata. Ma diciamo che non tutti quanti quelli che fanno ridere, o tutti gli stand up, sono per forza gli amici simpatici della comitiva o gli animatori. Alcuni hanno anche indoli più chiuse, come la mia. Quando tu mi hai visto anni fa in quelle condizioni probabilmente era proprio l'altra faccia della medaglia. Una faccia più riflessiva e un'altra che arriva dal superamento di quella riflessione: guardiamo questa cosa che è accaduta da un altro punto di vista e ridiamoci sopra. Quindi ho un po' assecondato come ero. Forse prima non avevo fatto uscire questa parte di me. Magari un pochino quando utilizzavo Twitter e qualcuno mi faceva i complimenti per le battute simpatiche che facevo. A un certo punto non ho potuto più trattenere il desiderio di confrontarmici e poi quando mi ci sono confrontato poi si è aperto un altro capitolo: perché poi devi comunque vedere se sei capace di farla quella cosa lì. 

Cosa hanno in comune hip hop e stand up comedy?

Tutto. Ho una nota sul cellulare che continuo ad aggiornare dei paralleli continui che io ritrovo tra le due. E forse per questo anche eh seppure più da adulto io mi sono cimentato con una cosa in cui ritrovo mille passaggi sia strutturali che più endemici: sono due forme della parola molto immediate che puntano molto spesso anche su un capovolgimento che puntano su farti arrivare alla fine di un pensiero o di una frase la cosiddetta punchline, ti deve arrivare quell'effetto. Nel rap ti deve arrivare con l'effetto di una rima che non ti stai aspettando e ovviamente nel gioco comico ti deve arrivare un capovolgimento attraverso la battuta che non t'aspetti ed è quello che ti fa ridere. Quindi ne trovo tantissimi di paralleli e oggi che frequento di più la scena della stand up italiana (che in questo momento è veramente in grande fermento) trovo che non sia tanto differente dalla scena rap in cui mi sono formato quando ero ragazzino alla metà degli anni Novanta. Questo perché penso che abbiano la stessa democraticità: tu ti scrivi un pezzo, pensi che faccia ridere, esci di casa e lo fai. Non devi per forza aver fatto scuola di teatro o da comico. Poi il giudice è il pubblico. E' la stessa cosa del rap: non è detto che tu debba aver studiato gli spartiti, aver fatto solfeggio o essere intonato. C'entra tantissimo l'attitudine, il talento e poi la velocità del cervello.

Uno degli elementi principali di "Una cosetta così" è che arrivando dal mondo hip hop ti racconti in maniera scanzonata, ti prendi in giro, ti sbeffeggi, ti fai un auto dissing, mentre l'immagine da quel mondo è l'essere e apparire fighi, indistruttibili, dei duri

Quasi tutti. Forse la cosa più bella che magari le persone che più mi seguono da più anni e che sono diventati  amici, vedendo lo spettacolo mi hanno detto "Non abbiamo fatto altro che ritrovare la stessa persona che abbiamo sempre trovato dei dischi, solo in una forma leggermente diversa". E quello che io punto a fare in generale è avere più possibilità espressive e però in quelle possibilità espressive essere come sono. E venire fuori come sono. E io sono così, quindi mi prendo in giro anche se ammetto che non mi faccio prendere tanto in giro. 

Come nasce l'idea di fare un disco dallo spettacolo?

Nasce immediatamente dal momento in cui c'è stata l'idea dello spettacolo c'è stata anche quella del disco. E' come uno di quei rappresentanti del mercato che ti fanno vedere il frullatore o la spugna magica che pulisce qualsiasi cosa. Sono due anni che vendo questa idea a tutti. Magari la gente non è troppo convinta perché effettivamente non ne abbiamo una tradizione noi. In America questa tradizione c'è. Io stesso da nerd e appassionato mi sono spesso ascoltato quelle cose. Non ho mai raccontato questa cosa, io stesso mi sono ricordato quando andavo ancora all'università l'effetto che mi faceva il cd che davano in regalo alla pompa di benzina del programma di Fiorello e di Baldini. Era solo una raccolta di gag che io non vedevo, ma mi ascoltavo in macchina e ridevo. E ripensando all'effetto di una roba del genere mi dicevo: "Perché no?" E quindi è stato il pensiero che ho fatto: ho cercato di mettermi dall'altro lato. Ho pensato anche a chi avrebbe avuto la pazienza di mettersi là e farsi questo viaggio, come ascoltare un podcast. Quello di Tintoria ad esempio dura due ore. E tu te la puoi ascoltare a pezzi, quando ne hai il momento e ti distrai ogni tanto. Ho pensato che fossero i tempi opportuni per fare un album che contenesse entrambe le cose.

La musica qui ha un ruolo secondario, anche se continua a essere una prova in più del tuo eclettismo. Come hai stabilito quanta ce ne dovesse essere?

E' una bella domanda che non mi ha fatto nessuno. Diciamo che è una porzioni minore ma non come peso specifico. Nel senso che le canzoni volevano fare lo stesso che faceva lo spettacolo, cioè riassumere in modo un po' serio e un po' profondo le cose che dicevano i monologhi e poi mettere in pratica lo studio delle cose che avevo imparato nel frattempo che non facevo dischi, perché ho continuato a studiare. Devo dare atto a Carmine Del Grosso, che ha scritto lo spettacolo, perché è stato un grande sostenitore della musica all'interno di "Una cosetta così". Inizialmente associare me allo spettacolo e metterci della musica dentro poteva solo significare ingraziare i fan facendo le canzoni di repertorio. E io non volevo questo effetto. Era proprio una cosa nuova. E fu proprio lui a dirmi di fare delle canzoni apposta per lo spettacolo.

E come sono nate le nuove canzoni in relazione allo spettacolo?

Queste canzoni sono nate un po' lungo la strada perché io sapevo che volevo fare tutti inediti ma inizialmente gli inediti erano due e facevo altri tre brani che erano delle cover veramente molto inusuali. Come una canzone di Nino D'Angelo su la base di un brano di D'Angelo. Volevo costruire piano piano la parte dei monologhi e poi aggiungere le canzoni. Le canzoni finali in realtà sono state oltre alle nove. Quindi nel tempo le ho anche ruotate perché mi piaceva anche che le persone venissero allo spettacolo e fosse anche un po' unico. Queste cinque sono quelle che più poi alla fine comunicavano bene con i monologhi, e quelle che hanno superato la prova del tempo.

Che ruolo ha la tua musica oggi, che incidenza sulla tua produzione artistica? Nel disco parli della corsa come di un elemento rivelatore per te, anche di rinascita, di energia ritrovata. Lo è stato anche per nuova musica?

Sì assolutamente. Però maggiormente la corsa è stato un elemento rivelatore per la stand up. Ma sono cose che si sono influenzate tra di loro. La disciplina della corsa mi ha fatto essere più disciplinato nel sedermi a scrivere, nell'uscire a provare i monologhi a provare le cose che scrivevo ma con una dose di improvvisazione necessaria. A volte sali sul palco pensando che una cosa che ti sembrava che ti facesse ridere, non lo fa poi e allora devi trovare la maniera per andare da un'altra parte con una buona dose di improvvisazione. Ed è quella dose che abbiamo avuto agli spettacoli di decidere al check se volevamo fare una canzone piuttosto che un'altra addirittura, o di improvvisare un'idea che avevamo solo ha abbozzato, mi ha portato poi alle canzoni nuove. È stata un approccio un po' meno cerebrale e un pochino più d'istinto stavolta.

Stai continuando in questa direzione ora, nuovo spettacolo?

Continuo assolutamente in questa direzione. Ora che ovviamente conosco un po' la casa, so che posso fare un po' di esperimenti. Posso spostare un po' di mobili. Posso prendere una poltrona diversa. Posso decidere dove appoggiare i libri. Ho appena cominciato e le persone hanno appena cominciato a conosce questa cosa con sorpresa quindi è solo giusto per me che io prosegua e la faccia meglio e che presto ne faccia un'altra. Per me portare a compimento questo spettacolo e farlo uscire è come guadagnarmi il biglietto per la mia libertà. E per me era molto importante che questa cosa riuscisse. 

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