Giacomo Poretti in "Chiedimi se sono di turno": le foto di scena
© Federico Buscarino
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Il comico è protagonista il 28 e il 29 agosto della ripresa di "Chiedimi se sono di turno", con un testo aggiornato dopo i fatti legati al coronavirus, che lo ha colpito anche direttamente. Tgcom24 ne ha parlato con lui
di Massimo Longoni© Federico Buscarino
Giacomo Poretti riparte da "Chiedimi se sono di turno", il suo monologo in cui racconta la sua esperienza come infermiere volontario in corsia. Una versione dello spettacolo aggiornata alla luce della pandemia di coronavirus, malattia che ha colpito lo stesso Poretti. Anche per questo, simbolicamente, mette in scena due date a Bergamo, il 28 e il 29 agosto. "L'ho trovata un'occasione importante - dice -. L'argomento può essere difficile ma questo è uno spettacolo che vuol far ridere e riflettere".
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Lo spettacolo andrà in scena sul palco di Lazzaretto On Stage in occasione delle celebrazioni di Sant’Alessandro, patrono della città di Bergamo. Una location particolarmente significativa considerando che la città è stata l'epicentro del ciclone coronavirus che ha investito la Lombardia. "Ho accettato di fare lo spettacolo proprio per questo motivo - spiega Poretti -. Sarebbe dovuto essere il primo alla riapertura del teatro Oscar, il teatro di Milano di cui sono direttore artistico insieme a Luca Doninelli e Gabrielle Allevi. Ma quando mi hanno offerto di fare queste serate a Bergamo mi è sembrato una cosa simbolicamente potentissima e forse è meglio che tutto ricominci da lì".
Che effetto fa tornare in teatro dopo quello che è successo?
Fa un po' strano perché non si è abituati a questa situazione. Ma gli attori si abituano abbastanza in fretta. L'unica cosa è fare i conti con il fatto che hai meno pubblico, circa un terzo di quello che hai di solito. Però devo dire che non ci manca il calore perché chi c'è si fa sentire più del solito.
Cosa è cambiato nel testo?
ho aggiornato lo spettacolo occupandomi di questa malattia che fino a un anno fa era sconosciuta. Nella prima versione il protagonista, che è un infermiere, fa un giro un po' di tutti i reparti. Ma non mi ero occupato della geriatria che, passatemi il termini, da un punto di vista "spettacolare" può essere meno interessante. Invece il Covid l'ha portata al centro dell'interesse, perché gli anziani sono stati quelli più colpiti.
Affrontare in chiave ironica un tema come questo, soprattutto dopo quanto accaduto, può essere difficile...
Il pubblico ha apprezzato molto la mescolanza di ironia e serietà. Lo spettacolo alla fine è il racconto dell'esperienza di un infermiere, da quando entra in ospedale che non sa fare nemmeno un'iniezione a quando si trova ad avere a che fare con pazienti sul letto di morte. Il tema vero è la malattia, che è il datore di lavoro dell'infermiere. E' uno spettacolo che vuole essere riflessivo,
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Ha detto che questo sarebbe dovuto essere il primo spettacolo del teatro Oscar dopo la chiusura forzata di questi mesi. Cosa state preparando?
Siamo in attesa di nuove disposizioni, a fine agosto vedremo quanto potremo raccogliere dei cocci che si sono rotti. Sicuramente quando si ripartirà dei 250 posti che abbiamo ne renderemo disponibili 120 e faremo sono spettacoli di monologhisti, ma non per questo l'offerta culturale sarà meno di valore.
Il settore teatrale è stato quello che ha pagato economicamente uno dei prezzi più alti.
Si, insieme a quello della scuola siamo stati tra quelli più colpiti. Ci è richiesta una rigidità che va anche bene ma che vorremmo fosse richiesta ad altri ambiti. Noi dobbiamo distanziare, sanificare, impedire alla gente di comprare i biglietti in loco per non creare assembramenti... poi esci e vedi che ognuno fa quello che vuole... basta andare in una spiaggia o in qualsiasi ristorante. Non voglio lamentarmi, le disposizioni sono corrette e le seguiamo, ma tutto dimostra che siamo un Paese tragicomico.
Lei ha contratto il Covid-19 insieme a sua moglie nei mesi scorsi. Come ha vissuto quei momenti?
Abbiamo avuto molta paura, siamo stati male fino al gradino prima di essere ricoverati in ospedale. La preoccupazione era soprattutto per nostro figlio piccolo. Abbiamo avuto paura di morire e abbiamo pensato cosa ne sarebbe stato di lui. In questi momenti si pensa al senso di cosa sei, cosa fai. Ci ha messo di fronte alla nostra fragilità.
E dopo quello che ha passato cosa pensa quando legge di chi sostiene che sia tutta una montatura politico-mediatica?
Mi viene in mente umano troppo umano. Sappiamo che dobbiamo morire ma tutti pensiamo che non accadrà a noi e da qui derivano una serie di comportamenti che possiamo definire superficiali, con un eufemismo. D'altronde il negazionismo una volta era relegato a quei quattro imbecilli che negavano l'esistenza di Auschwitz e dei campi di concentramento. Adesso si applica ai campi più disparati: i vaccini, i virus, persino il calcio... ci sono società che hanno vinto 30 scudetti e dicono di averne vinti 32...
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