Il cantautore genovese pubblica il doppio album "Appunti di un lungo viaggio". Tgcom24 lo ha incontrato
di Massimo Longoni© ufficio-stampa
A 84 anni e dopo 60 di carriera, avere ancora la voglia di sperimentare e rischiare. E' quello che fanno gli artisti. E' quello che ha fatto Gino Paoli con il nuovo doppio album, "Appunti di un lungo viaggio". Se il secondo cd contiene una rilettura "jazzata" di alcuni suoi grandi successi, il primo, "Canzoni interrotte", è un flusso di pensieri dove la forma canzone viene abbandonata. "Ho voluto dire l'essenziale - spiega -, senza ripetizioni".
Niente rime, niente strutture classiche formate da strofe e ritornelli, nessuna ripetizione inutile. Nelle canzoni interrotte di Paoli la vita, l'amicizia, l'amore e persino la morte trovano spazio in un flusso cliclico, diviso secondo le quattro stagioni, che di fatto non ha un vero inizio e nemmeno una vera fine. Poesie e pensieri messi in musica con gli arrangiamenti di Danilo Rea e il contributo della Roma Jazz String Orchestra. "Un artista, se è un artista vero, deve andare oltre, oltre forme e i condizionamenti - spiega lui -. Ho pensato si potessero usare note e parole in forma diversa. Da una parte eliminando tutto ciò che è forma canzone obbligatoria, e dall'altra parte cercando l'essenzialità. Quando hai detto quello che dovevi dire a sufficienza basta, finisci lì. Mentre la canzone di solito è anche ripetizione".
D'altro canto Paoli spiega che quella dell'essenzialità è stata una sua ricerca da sempre. "Quando eravamo giovani io e Arnaldo Bagnasco abbiamo fondato un movimento che si chiamava “Essenzialismo” - ricorda -. Dove puoi dire una cosa in tre parole è inutile dirla in cinquanta. Certo, questo comporta il fatto di pensare prima di parlare, cosa che oggi non avviene molto spesso".
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Nella scelta di dividere le composizioni di "Canzoni interrotte" secondo il succedersi delle stagioni, c'è un profondo legame che unisce vita e morte. "Io non credo nella morte - spiega-. Se guardi la natura ti rendi conto che la morte non esiste. Esiste una stagione che finisce e ne comincia un'altra. il ciclo per cui ogni cosa ha una fine ma nella fine c'è un principio. Il giro delle stagioni mi dà molta serenità. L'unico rimpianto che ho è aver perso un sacco di gente che ora mi manca e con la quale avrei voluto passare più tempo".
Tra questi c'è don Andrea Gallo, a cui è dedicata "Due cani in chiesa", frammento della "Primavera". "Don Gallo era un uomo straordinario - ricorda il cantautore -, era contro tutto e con tutto. Ho fatto un film con lui, giravamo per la città, lo salutavano tutti, papponi, mignotte, disperati. E tutti gli davano appuntamento in chiesa. A un certo punto aveva i polmoni completamente cotti dal tumore e dato che non riusciva a dormire sdraiato si faceva portare in giro in macchina per riposare seduto. Sono stato io a farlo ricoverare quando era agli sgoccioli. Sono andato a trovarlo e mi ha detto: 'Mi hai fatto un bello scherzo, guarda dove sono finito'". Il legame profondo con un uomo di chiesa e l'avanzare degli anni non hanno però cambiato l'atteggiamento di Paoli nei confronti della dimensione spirituale. "Per me vale sempre il motto dell'anarchia: Né Dio né padroni. Non ho nessuna fascinazione per figure ultraterrene". In un altro pezzo, 'Voglio morire malato', c'è tutto lo spirito ribelle di Paoli: "Voglio morire malato perché voglio fare tutto. Che gusto c'è a morire sano se questo ha significato rinunciare a questo o a quello?".
Nel secondo cd, tra "Sapore di sale", "La gatta", "Il cielo in una stanza" e "Una lunga storia d'amore", tutte rilette con grandi jazzisti come Rita Marcotulli, Ares Tavolazzi e Alfredo Golino, trova posto un unico pezzo di un altro cantautore, "Ritornerai", di Bruno Lauzi. "Sono anni che faccio canzoni per ricordare degli amici. Luigi Tenco, Umberto Bindi e Fabrizio De André - spiega Paoli -. Bruno è la persona che mi manca di più, anche se era la persona più distante da me. Litigavamo sempre ma eravamo legatissimi, l'ho voluto con me in questo progetto".
"Appunti di un lungo viaggio" arriva a 10 anni da "Storie", l'ultimo lavoro di canzoni inedite realizzato dal cantautore. "Per ogni canzone che scrivo ce ne sono quattro che butto via - spiega -. Mio padre diceva 'quando non hai niente da dire stai zitto', e ho sempre seguito questa massima. Al punto che ci sono stati anni in cui non dicevo niente, mi ero quasi ritirato a vita privata". Paoli qualcosa da dire ce l'ha in questi giorni. Sulla musica e il suo valore sociale per esempio, lui che si è spesso impegnato, anche direttamente a livello politico e si è sempre speso per temi importanti. "L'artista dovrebbe dire la sua ma dovrebbe dirla alla sua maniera, non può fare della retorica - considera -. Certo oggi molti non lo fanno ma il poco impegno è figlio della delusione, la delusione ti porta al disinteresse". Nel 1988 scrisse una canzone contro il razzismo, "Hey Ma", tema che a 30 anni di distanza sembra più attuale che mai. "La situazione la vedo come allora ma peggiorata - spiega -. Quella canzone era nata a Ischia, dove la figlia di una mia collaboratrice, honduregna e di colore, era insultata in piscina da un ragazzino. 'Tu brutta negra in acqua non entri" le aveva detto. E io sono tornato a casa e ho scritto 'Hey Ma'. Ho capito che se uno ragiona così è perché non gli hanno fatto capire sin da piccolo che il razzismo è una stronzata e gli uomini sono tutti uguali".
Adesso Paoli sarà impegnato in tre eventi speciali: il 12 maggio all’Auditorium parco della Musica di Roma, il 13 luglio all’Umbria Jazz di Perugia e il 18 luglio nella sua Genova per un concerto ai Parchi di Nervi. A 84 anni l'intenzione di fermarsi non c'è. Perché, come spiega, "il palcoscenico è una droga, non lo abbandoneresti mai. È finzione ma mentre fingi sei più vero di sempre".