Esce il nuovo album della band irlandese, che ha richiesto tre anni di lavoro. Tra suoni inediti e canzoni nel solco della tradizione del gruppo
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Ci sono voluti quasi tre anni ma alla fine il cerchio si è chiuso. Esce oggi in tutto il mondo "Songs of Experience" il nuovo album degli U2, ideale seguito di "Songs of Innocence", uscito nel 2014. Anticipato dal singolo "You're The Best Thing About Me", il lavoro presenta tredici canzoni in cui la band offre una nuova immagine di sé, a tratti spiazzante.
Se sulla copertina del disco precedente campeggiava Larry Mullen Jr abbracciato al figlio Aaron Elvis, questa volta i protagonisti ritratti da Anton Corbijn sono gli attuali figli adolescenti degli U2, Eli Hewson (figlio di Bono) e Sian Evans (figlia di The Edge). Sempre dal futuro si parte, da coloro che erediteranno il mondo in cui stiamo vivendo. E l'album dal punto di vista lirico si muove tra situazioni intime e personali e temi epocali, come l'immigrazione, cercando in ogni caso la luce in fondo al tunnel nel quale l'umanità sembra essersi infilata.
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Registrato tra Dublino, New York e Los Angeles e portato a termine all’inizio di quest’anno, "Songs of Experience" è stato ispirato dal consiglio che Brendan Kennelly, poeta, scrittore irlandese e Professore Emerito presso il Trinity College di Dublino, ha rivolto a Bono, quello di "...scrivere come se fossi morto". Il risultato è una selezione di brani in forma di lettere intime dedicate alle persone e ai luoghi vicine al cuore di Bono Vox, The Edge, Larry Mullen Jr. e Adam Clayton.
Il risultato è un album più complesso del solito, che richiede almeno un paio di ascolti per dischiudere la sua reale essenza. Questo soprattutto per una costruzione dei pezzi meno diretta di quanto era accaduto con "Songs of Innocence". Dall'eterea apertura di "Love Is All We Have Left" (il cui ritornello ricorda molto da vicino "Eyes Without A Face" di Billy Idol con i bpm abbattuti), al rock senza fronzoli di "Red Flag Day" passando per gli echi sessantiani di "The Showman". Non mancano episodi più tradizionalmente U2, come "The Little Things That Give You Away", che di questo lavoro è probabilmente il centro gravitazionale.
Il tutto frutto di una produzione a più mani che ha visto Jacknife Lee e Ryan Tedder al lavoro con Steve Lillywhite, Andy Barlow e Jolyon Thomas per seguire due direttrici precisi: mettere al centro la voce di Bono e al contempo vestire i brani con suoni spesso inediti rispetto ai canoni della band. Il risultato è un lavoro che rimette il gruppo al centro della scena. Ammesso che ne fosse mai uscito.